filosofo del '900
Prefazione di A. Aliotta, "Biblioteca di Filosofia" dir. da A. Aliotta, F. Perrella, Napoli, 1923, pp. VII-174
I filosofi hanno troppo a lungo trascurato le
ragioni della vita. Rinchiusisi nella rocca magica del pensiero,
invano han tentato di uscirne; onde han fatto del pensiero il principio
e la consumazione finale d'ogni cosa, pur rimanendo sempre inappagati
di esso; e si sono eternamente baloccati con insolubili e tormentosi
indovinelli. Ma che sarebbe mai un pensiero puro, un pensiero che
sia solo, assoluto pensiero? Un'attività vuota ed inutile, una vibrazione
unica, eterna, immutabile, in un vuoto infinito. In che, dunque,
si distinguerebbe dal nulla? Il pensiero non esiste fuori dell'indivisibile
unità dell' io, ma vive solo nella fluida corrente del suo tendere
e del suo agire; la verità fuori dello svolgersi della vita temporale
non ha alcun senso e valore, e se anche fosse possibile non sarebbe
che un inutile ed ingombrante detrito. Ciò che comunica al pensiero
la sua potenza viva, la sua dinamica infinità, ciò che fa d'ogni
prodotto spirituale una parte integrale e quasi organica di noi
stessi, è la forza oscura della vita, che muove il pensiero e in
esso esprime se stessa. La verità è appunto l'espressione astratta
e simbolica di un dato istante della vita; e come questa non è mai
uguale a se stessa ma si trasforma in un moto che non ha riposo,
così pure quel suo aspetto correlativo muta secondo il ritmo di
essa. Ogni momento della vita genera dal suo seno la sua propria
verità; la quale dura e fiorisce, fin quando durano le condizioni
storiche che l'hanno generata; poi decade e vien meno col venir
meno di queste. Le verità innumeri dei secoli passati, quelle verità
in cui s'incarnarono un tempo energie attive formidabili, non sono
per noi che dei morti avanzi da museo; e noi le sentiamo e le affermiamo
talvolta come verità, solo se esse ancora traducono in qualche misura
le ragioni profonde della nostra vita presente.
La verità non è dunque qualcosa che stia fuori di noi, che dal di
fuori ci imponga il suo riconoscimento, ma vive solo in noi e per
noi, giacché è il nostro io profondo che la crea, ed anzi essa non
è che uno degli aspetti di quest' io. Ed è assurdo assegnare al
pensiero la dignità suprema, lo scettro su tutto il regno dell'essere.
Lungi dall'esser tutta la realtà, dall'inghiottire tutto l'universo
nella sua pulsazione solitaria il pensiero presuppone necessariamente
un'attività di cui esso non è che l'ombra e che gli fornisce contenuto
e realtà, moto e calore di vita. Come l'analisi di ogni atteggiamento
dottrinale prova in maniera irrefutabile, il pensiero logico è impotente
a dare un qualsiasi criterio concreto per distinguere la verità
dall'errore, la realtà dall'illusione. Il suo sforzo sempre rinnovato
per costituire una gerarchia di valori logici, è destinato perpetuamente
a rimanere infecondo. Da qualunque punto di vista ci si collochi,
sia che s'immagini la verità come corrispondenza, sia che s'immagini
come coerenza o utilità, e così via, ogni atto di discriminazione
logica permane, nell'ambito di ciascuna dottrina e sulla base di
essa, inconcepibile: solo l'arbitrio cieco può scegliere. D'altro
lato, ogni dottrina, considerata come un tutto, è ingiustificabile;
essa si giustifica solo presupponendola, con una petizione di principio
inevitabile, e dando luogo ad una serie infinita di termini inutilmente
moltiplicantisi: compiuta dimostrazione della inanità del pensiero
logico a giustificare e ad affermare se stesso. Una dottrina non
è perciò il risultato di una dialettica progressiva, che assurga
man mano alla sintesi e alla concretezza massima, ma il tradursi
d'una direzione originale della vita, l'espressione logica d'una
sua tendenza fondamentale. Il conoscere è appunto l'esperienza attiva
di questa traduzione, l'esprimere che noi facciamo dell'interno
slancio della vita in formule, schemi, simboli razionali. Niun confronto,
niun paragone è possibile tra i due mondi eterogenei: non si chieda
alla vita la conoscenza, né alla conoscenza la vita. Non si chieda
al pensiero che è simbolo, quello che esso non può mai dare: la
realtà effettiva delle cose.
Né per quanto il pensare le cose non costituisca in alcun modo il
possesso pieno ed intero di esse, questo è un difetto del nostro
conoscere, quasi che il fondo dell'esser loro ci fosse affatto inconoscibile;
perché noi le conosciamo in realtà quali esse sono, né potremmo
averne una conoscenza diversa. Il senso di costante insoddisfazione
che accompagna il nostro conoscere e che ci fa cercare o immaginare
sempre nuove vie per penetrar più addentro nella natura dell'essere,
deriva dall'impossibilità di tradurre adeguatamente l'empito interiore
della vita in una astratta formula di pensiero. Il pensare, come
tale, resterà sempre infinitamente più povero che il vivere; ma
se così non fosse, non sarebbe più pensare, ma vivere. Questo è,
dunque, il fatto unico e totale che contiene e comprende tutti gli
altri, il sostrato profondo d'ogni realtà e verità. Coloro che vagolano
miseri e incerti, ludibrio del caso e dell'altrui forza, non possono
intendere il valore del vero; chi vive veramente ha sempre la sua
propria verità da diffondere e da affermare.
L 'antecedente necessario d'ogni pensiero logico, d'ogni verità
è quindi la vita nella sua oscura potenza irrazionale. E' impossibile
transumanarsi nel puro pensiero; vivere, agire si deve, perché il
pensiero sgorghi originale e vigoroso da attività sotterranee. Il
pensiero è creato, diretto, plasmato nelle sue forme molteplici
dal nostro agire incessante; l'azione precede e determina la conoscenza,
l'esperimento precede e determina la formula, che lo traduce nel
suo linguaggio simbolico. Nessun esperimento, nessuna formula; nessuna
azione efficace, nessuna conoscenza vera, né scientifica, né filosofica.
Non già, come il pragmatismo pretende, che il grado di verità d'ogni
dottrina od ipotesi sia commisurato dalla sua utilità per la vita.
Il pragmatista tutto intento a dosare intellettualisticamente il
quantum d'utilità contenuto in ogni idea non è più pragmatista:
è il pensiero che rivela l'utilità, è al pensiero che egli si affida.
L'utilità d'ogni verità per l'azione non appare se non a chi sospende
in qualche modo l'azione alla conoscenza e al pensiero, e fa di
questo la guida e il determinante di quella. Ma non è invece l'azione
- secondo il pragmatismo medesimo - la guida e il determinante del
pensiero? Noi non possiamo dunque che abbandonarci alla scelta inconsapevole
e sicura della vita: attraverso l'azione le tendenze più originali
e potenti della nostra individualità profonda si riveleranno nelle
verità nuove del nostro spirito logico. L'esperimento inteso non
come mezzo di verificazione di verità preesistenti, ma come creazione
attiva di verità, è la sola via di conoscenza; e fare di esso il
presupposto e la fonte di ogni movimento originale di pensiero è
subordinare il logico all'alogico, appellarsi come ad arbitro d'ogni
pensiero alla sotterranea oscura forza della vita.
Giacché se non si ammette un'originaria distinzione fra il pensiero
e l'azione, se del fatto che il pensiero non è lo specchio passivo
dell'essere ci si serve per annullare l'abisso che separa nella
coscienza questi due mondi eterogenei, allora subito quelle difficoltà
che fanno vana ogni distinzione di valore nell'ambito di ciascuna
idea di verità si presentano di nuovo insormontabili. Se infatti
lo sperimentare o l'agire si identifica col pensare, dire che l'esperimento
o l'azione è il solo mezzo per la conquista dei vero, equivale a
dire che quel mezzo è soltanto il pensiero, che il valore di verità
del pensiero sta nel pensiero medesimo. E questo è precisamente
il metodo più sterile che si possa immaginare, giacché il pensiero
non potendo mai esser altro che tale, non darebbe luogo nel suo
interno ad alcuna distinzione di valore. Questa distinzione s'origina
solo per l'intervento di una forza estranea al pensiero e che lo
soggioghi o lo domini ed è perciò condizionata dalla diversità primitiva
e irriducibile del pensiero e dell'azione.
Da: N. Abbagnano, Le sorgenti irrazionali del pensiero, Capitolo VI, § 3, "Biblioteca di Filosofia", diretta da A. Aliotta, F. Perella, Genova-Napoli-Città di Castello, 1923.