Nicola Abbagnano

Le sorgenti irrazionali del pensiero

Prefazione di A. Aliotta, "Biblioteca di Filosofia" dir. da A. Aliotta, F. Perrella, Napoli, 1923, pp. VII-174

Il problema della verità

I filosofi hanno troppo a lungo trascurato le ragioni della vita. Rinchiusisi nella rocca magica del pensiero, invano han tentato di uscirne; onde han fatto del pensiero il principio e la consumazione finale d'ogni cosa, pur rimanendo sempre inappagati di esso; e si sono eternamente baloccati con insolubili e tormentosi indovinelli. Ma che sarebbe mai un pensiero puro, un pensiero che sia solo, assoluto pensiero? Un'attività vuota ed inutile, una vibrazione unica, eterna, immutabile, in un vuoto infinito. In che, dunque, si distinguerebbe dal nulla? Il pensiero non esiste fuori dell'indivisibile unità dell' io, ma vive solo nella fluida corrente del suo tendere e del suo agire; la verità fuori dello svolgersi della vita temporale non ha alcun senso e valore, e se anche fosse possibile non sarebbe che un inutile ed ingombrante detrito. Ciò che comunica al pensiero la sua potenza viva, la sua dinamica infinità, ciò che fa d'ogni prodotto spirituale una parte integrale e quasi organica di noi stessi, è la forza oscura della vita, che muove il pensiero e in esso esprime se stessa. La verità è appunto l'espressione astratta e simbolica di un dato istante della vita; e come questa non è mai uguale a se stessa ma si trasforma in un moto che non ha riposo, così pure quel suo aspetto correlativo muta secondo il ritmo di essa. Ogni momento della vita genera dal suo seno la sua propria verità; la quale dura e fiorisce, fin quando durano le condizioni storiche che l'hanno generata; poi decade e vien meno col venir meno di queste. Le verità innumeri dei secoli passati, quelle verità in cui s'incarnarono un tempo energie attive formidabili, non sono per noi che dei morti avanzi da museo; e noi le sentiamo e le affermiamo talvolta come verità, solo se esse ancora traducono in qualche misura le ragioni profonde della nostra vita presente.
La verità non è dunque qualcosa che stia fuori di noi, che dal di fuori ci imponga il suo riconoscimento, ma vive solo in noi e per noi, giacché è il nostro io profondo che la crea, ed anzi essa non è che uno degli aspetti di quest' io. Ed è assurdo assegnare al pensiero la dignità suprema, lo scettro su tutto il regno dell'essere. Lungi dall'esser tutta la realtà, dall'inghiottire tutto l'universo nella sua pulsazione solitaria il pensiero presuppone necessariamente un'attività di cui esso non è che l'ombra e che gli fornisce contenuto e realtà, moto e calore di vita. Come l'analisi di ogni atteggiamento dottrinale prova in maniera irrefutabile, il pensiero logico è impotente a dare un qualsiasi criterio concreto per distinguere la verità dall'errore, la realtà dall'illusione. Il suo sforzo sempre rinnovato per costituire una gerarchia di valori logici, è destinato perpetuamente a rimanere infecondo. Da qualunque punto di vista ci si collochi, sia che s'immagini la verità come corrispondenza, sia che s'immagini come coerenza o utilità, e così via, ogni atto di discriminazione logica permane, nell'ambito di ciascuna dottrina e sulla base di essa, inconcepibile: solo l'arbitrio cieco può scegliere. D'altro lato, ogni dottrina, considerata come un tutto, è ingiustificabile; essa si giustifica solo presupponendola, con una petizione di principio inevitabile, e dando luogo ad una serie infinita di termini inutilmente moltiplicantisi: compiuta dimostrazione della inanità del pensiero logico a giustificare e ad affermare se stesso. Una dottrina non è perciò il risultato di una dialettica progressiva, che assurga man mano alla sintesi e alla concretezza massima, ma il tradursi d'una direzione originale della vita, l'espressione logica d'una sua tendenza fondamentale. Il conoscere è appunto l'esperienza attiva di questa traduzione, l'esprimere che noi facciamo dell'interno slancio della vita in formule, schemi, simboli razionali. Niun confronto, niun paragone è possibile tra i due mondi eterogenei: non si chieda alla vita la conoscenza, né alla conoscenza la vita. Non si chieda al pensiero che è simbolo, quello che esso non può mai dare: la realtà effettiva delle cose.
Né per quanto il pensare le cose non costituisca in alcun modo il possesso pieno ed intero di esse, questo è un difetto del nostro conoscere, quasi che il fondo dell'esser loro ci fosse affatto inconoscibile; perché noi le conosciamo in realtà quali esse sono, né potremmo averne una conoscenza diversa. Il senso di costante insoddisfazione che accompagna il nostro conoscere e che ci fa cercare o immaginare sempre nuove vie per penetrar più addentro nella natura dell'essere, deriva dall'impossibilità di tradurre adeguatamente l'empito interiore della vita in una astratta formula di pensiero. Il pensare, come tale, resterà sempre infinitamente più povero che il vivere; ma se così non fosse, non sarebbe più pensare, ma vivere. Questo è, dunque, il fatto unico e totale che contiene e comprende tutti gli altri, il sostrato profondo d'ogni realtà e verità. Coloro che vagolano miseri e incerti, ludibrio del caso e dell'altrui forza, non possono intendere il valore del vero; chi vive veramente ha sempre la sua propria verità da diffondere e da affermare.
L 'antecedente necessario d'ogni pensiero logico, d'ogni verità è quindi la vita nella sua oscura potenza irrazionale. E' impossibile transumanarsi nel puro pensiero; vivere, agire si deve, perché il pensiero sgorghi originale e vigoroso da attività sotterranee. Il pensiero è creato, diretto, plasmato nelle sue forme molteplici dal nostro agire incessante; l'azione precede e determina la conoscenza, l'esperimento precede e determina la formula, che lo traduce nel suo linguaggio simbolico. Nessun esperimento, nessuna formula; nessuna azione efficace, nessuna conoscenza vera, né scientifica, né filosofica. Non già, come il pragmatismo pretende, che il grado di verità d'ogni dottrina od ipotesi sia commisurato dalla sua utilità per la vita. Il pragmatista tutto intento a dosare intellettualisticamente il quantum d'utilità contenuto in ogni idea non è più pragmatista: è il pensiero che rivela l'utilità, è al pensiero che egli si affida. L'utilità d'ogni verità per l'azione non appare se non a chi sospende in qualche modo l'azione alla conoscenza e al pensiero, e fa di questo la guida e il determinante di quella. Ma non è invece l'azione - secondo il pragmatismo medesimo - la guida e il determinante del pensiero? Noi non possiamo dunque che abbandonarci alla scelta inconsapevole e sicura della vita: attraverso l'azione le tendenze più originali e potenti della nostra individualità profonda si riveleranno nelle verità nuove del nostro spirito logico. L'esperimento inteso non come mezzo di verificazione di verità preesistenti, ma come creazione attiva di verità, è la sola via di conoscenza; e fare di esso il presupposto e la fonte di ogni movimento originale di pensiero è subordinare il logico all'alogico, appellarsi come ad arbitro d'ogni pensiero alla sotterranea oscura forza della vita.
Giacché se non si ammette un'originaria distinzione fra il pensiero e l'azione, se del fatto che il pensiero non è lo specchio passivo dell'essere ci si serve per annullare l'abisso che separa nella coscienza questi due mondi eterogenei, allora subito quelle difficoltà che fanno vana ogni distinzione di valore nell'ambito di ciascuna idea di verità si presentano di nuovo insormontabili. Se infatti lo sperimentare o l'agire si identifica col pensare, dire che l'esperimento o l'azione è il solo mezzo per la conquista dei vero, equivale a dire che quel mezzo è soltanto il pensiero, che il valore di verità del pensiero sta nel pensiero medesimo. E questo è precisamente il metodo più sterile che si possa immaginare, giacché il pensiero non potendo mai esser altro che tale, non darebbe luogo nel suo interno ad alcuna distinzione di valore. Questa distinzione s'origina solo per l'intervento di una forza estranea al pensiero e che lo soggioghi o lo domini ed è perciò condizionata dalla diversità primitiva e irriducibile del pensiero e dell'azione.

Da: N. Abbagnano, Le sorgenti irrazionali del pensiero, Capitolo VI, § 3, "Biblioteca di Filosofia", diretta da A. Aliotta, F. Perella, Genova-Napoli-Città di Castello, 1923.