filosofo del '900
"Biblioteca di Filosofia" dir. da A. Aliotta, F. Perrella, Napoli, 1925, pp. 115
Contro il concetto dell'arte come assoluta irrealtà
può opporsi il fatto della profonda e vasta risonanza umana e sociale
che essa possiede e per cui in ogni anima suscita fremiti, commozioni
e tumulti di affetti contrastanti. E può dirsi: sia pure parvenza
e illusione, il mondo delle immagini estetiche. Certo è però che
né parvenza né illusione è l'èmpito interiore d'impressioni, di
sentimenti, di passioni, che nell'opera d'arte si esprime; ed è
qui la fonte della realtà dell'arte, la scaturigine del suo valore.
D'altronde, se l'arte è sintesi di elementi simbolici, scelti nel
mondo della conoscenza reale, chi potrebbe operare la sintesi e
la scelta, se non appunto la stessa realtà spirituale? Per la loro
natura astratta ed immobile, i simboli né sorgono, né si raggruppano
in nuove combinazioni, se non sotto la spinta determinante di un'attività
estrinseca: onde come la loro creazione (conoscenza) così la loro
diversa combinazione (arte) presuppone sempre il potere attivo della
vita, che in essa si esprime.
Ora, che la sintesi estetica supponga, allo stesso modo della verità,
un'attività estrinseca che la determini e la produca, sembra indubitabile,
stante l'incapacità dei simboli a combinarsi, come a prodursi da
sé. L'ispirazione cui obbedisce l'artista e per cui l'opera sua
gli appare suggerita da un potere estraneo, da un affetto divino,
quasi energia trasmessa lungo una serie di anelli magnetizzati,
secondo il paragone dell'Ione platonico - l'ispirazione estetica
e l'insieme delle risonanze affettive che dànno senso e valore all'opera
d'arte, e che, ove mancano, l'annullano come tale, possono appunto
considerarsi quali le attività sotterranee, cui le creazioni dell'arte
obbediscono. Son esse infatti che dànno valore e consistenza spirituale
ai meri simboli, di cui l'arte consiste. Un'opera che sia povera
d'ispirazione, e che non susciti un'eco profonda nell'animo nostro,
non è un'opera d'arte; solo è tale quella in cui sentiamo muoversi
e vibrare la nostra umanità dolente, e in cui scorgiamo effigiati
in uno schema ideale noi stessi e le nostre passioni dominanti.
Ma questo aspetto reale o vissuto dell'arte non basta a darle effettivo
valore di realtà, né a metterla sullo stesso piano dei processi
conoscitivi. Giacché esso non annulla né attenua la differenza essenziale
che divide i simboli conoscitivi dai simboli estetici; i primi,
rivelazione diretta e originale della vita, gli altri, aggruppamento
arbitrario dei primi, ad essi quindi sovrapposti e subordinati.
Il fatto che anche questi aggruppamento sorgono sotto l'impulso
alla vita, non toglie l'altro fatto che essi suppongono già costituito
in mondo della conoscenza e sorgono sullo sfondo di questo.
Ove infatti si ottenebri e si annulli questo sfondo necessario,
anche si ottenebrano e si annullano le visioni dell'arte. Cerchiamo
d'immergerci nella contemplazione estetica per quanto è possibile,
di perderci in essa, di obliare la nostra individualità concreta:
non riusciremo mai veramente ad obliarci ed a trasumanarci a tal
punto da disperdere il nucleo stesso del nostro spirito, che è anche
la condizione dell'attività estetica - il mondo della vita reale
e la conoscenza che su di esso si eleva. Giacché se davvero riuscissimo
a chiudere e ad esaurire la nostra vita nell'ambito dell'arte, l'arte
diverrebbe, essa, per noi la realtà e la vita, cesserebbe di essere
arte: i suoi labili fantasmi acquisterebbero d'un colpo la ferma
e rude consistenza del mondo della percezione e della scienza, e
le aspre passioni della vita reale prenderebbero il posto dello
slancio lirico e del rapimento dell'artista.
L'adesione dello spirito all'opera d'arte, per quanto profonda e
totale, non implica quindi all'annullamento nell'opera d'arte del
mondo della conoscenza reale, ma presuppone invece necessariamente
l'esistenza indipendente di questo mondo. Non l'arte precede e condiziona
la conoscenza, ma la conoscenza condiziona e precede l'arte. Se
la conoscenza non creasse i simboli della realtà, l'arte non potrebbe
servirsi di essi per le sue visioni fantastiche. Neanche quando
sorge potente, l'arte riesce giammai ad oscurare la validità reale
dei simboli conoscitivi. E la simultaneità della conoscenza e dell'arte
in uno stesso momento di vita basta ad assicurare, con la validità
reale connessa ai simboli della prima, una differenza radicale tra
l'una e l'altra.
Che l'esperienza di realtà sia poi connessa alla conoscenza e non
alle sintesi dell'arte, sebbene anch'esse prodotte dall'attività
reale dello spirito - è un problema che a questo punto trova subito
la sua soluzione, e la trova per l'appunto nel fatto che l'arte
è traduzione non diretta e immediata, ma indiretta e mediata, della
realtà spirituale. Se nell'arte la vita non crea simboli originali,
ma solo determina sintesi nuove di elementi attinti alla conoscenza,
ciò significa che la vita stessa trova nell'arte un'espressione
mediata, e mediata appunto alla conoscenza. Gli aspetti o momenti
della vita che determinano la creazione estetica, e trovano in essa
la loro indiretta rivelazione, son quelli che hanno già prodotto
i simboli conoscitivi come loro rivelazione immediata. Allo stesso
modo che non v'è elemento dell'arte, che già non sia della conoscenza,
così non v'è slancio, impulso o passione suscitatrice d'arte, che
non abbia già trovato la sua oggettivazione conoscitiva. Se la verità
è il lampo di luce che rischiara la notte profonda degl'impulsi
irrazionali, l'arte è il riflesso di questa luce, il giuoco variopinto
delle sue mille irradiazioni. Né la sua totale irrealtà toglie all'arte
il senso e il valore che le son propri. La condanna platonica e
l'esaltazione romantica dell'arte peccano entrambe nel sospenderne
il valore alla validità reale: onde la prima, negandole questa,
la deprime al livello di futile apparenza, quasi ombra di un'ombra,
e la seconda, riconoscendola, la innalza al grado di rivelazione
diretta dell'assoluto. Ora l'arte è veramente sogno, ombra e finzione,
ma ciò non ne diminuisce il valore. Ché anzi le toglierebbe la consistenza,
l'autonomia l'annullerebbe come arte, chi volesse porla sullo stesso
piano della realtà vissuta e dei simboli conoscitivi, chi volesse
strapparla al limbo delle visioni fantasticate, per porla come cosa
salda nel rude cimento dell'azione e della lotta. Il valore dell'arte
non sta nella validità reale che le è negata, ma nel suo potere
di esprimere mediatamente la vita.
Da: N. Abbagnano, Il problema dell'arte, Capitolo VI, § 5, "Biblioteca di Filosofia", diretta da A. Aliotta, F. Perella, Genova-Napoli-Città di Castello, 1926.