filosofo del '900
"Documenti e ricerche", Taylor Editore,Torino, 1959, pp. 210; 2a ed. ampl. 1967
Se la sociologia può rivendicare la sua autonomia di fronte
a quelle scienze naturali alle quali ha voluto strettamente legarsi
nella sua fase meno recente, essa deve poter rivendicare la sua
autonomia anche di fronte alle discipline storiografiche, alle quali
la riavvicinano le sue indagini più recenti. A stabilire tra sociologia
e storiografia una distinzione che renda giustizia alla relativa
autonomia di questi indirizzi d'indagine e non metta capo ad un'alternativa
di esclusione dell'una a vantaggio dell'altra, è opportuno richiamare
qualche tratto fondamentale del sapere storico.
Il sapere storico e, in ogni caso, un'indagine individuante.
Non si contesta, qui, che possano essere, e siano, adoperati nella
ricerca storica strumenti o categorie che possano dirsi, in un senso
qualsiasi, universali. S'intende solo riconoscere che, nonostante
l'uso di tali strumenti o categorie, o anzi appunto in virtù di
esso, la ricerca storica tende in ogni caso a caratterizzare l'individualità
del suo oggetto. Quale che sia l'oggetto della ricerca storiografica
- età o periodo, istituzione o personalità, o semplice catena di
eventi, come per esempio una guerra - ciò che la ricerca storica
tende a ricostruire è, in ogni caso, un'individualità che ha caratteri
propri, non riducibili a quelli di altri oggetti similari od analoghi.
Questo tratto fondamentale della ricerca storiografica non è accidentale:
esso le deriva dagli stessi metodi e strumenti di cui si avvale
e che conferiscono validità ai suoi risultati. L'uso indispensabile
delle fonti di tradizione e di avanzo, i criteri metodici per l'accertamento
della loro autenticità e per la loro interpretazione, le garanzie
critiche che ogni ricostruzione storica deve intrinsecamente offrire,
presentandosi in accordo con tutti gli elementi conosciuti e autentificati,
rivelano, nella loro stessa natura, l'intenzionalità individualizzatrice
della ricerca. Rispetto alla quale, l'oggetto che non ha ancora
rivelato il suo volto particolare e proprio, non è un oggetto storico;
là dove la ricostruzione storica può dirsi riuscita solo quando
quel volto si presenta vivo ed evidente, in modo che i suoi tratti
propri possano essere sempre daccapo riconosciuti e distinti nei
confronti di qualsiasi altro. Perciò ogni evento autenticamente
storico (cioè: sufficientemente ricostruibile da un'indagine adeguata)
è unico e irrepetibile. E il detto comune "la storia non si ripete"
non fa che esprimere il tratto essenziale che la stessa metodologia
storica esige dai suoi oggetti e garantisce in essi.
Come indagine individuante, la ricerca storica si trova ad ogni
passo di fronte al problema di scegliere l'oggetto individuabile
e i tratti che lo individuano. La scelta è ineliminabile dall'attività
storiografica. Da un lato essa circoscrive, nella infinita congerie
possibile dei fatti umani, il campo ristretto dell'interesse storico
cioè dei fatti, a qualsiasi titolo, significanti; dall'altro
lato essa agisce continuamente, in questa stessa cerchia ristretta,
alla scoperta degli oggetti individuabili e dei tratti individuanti.
Non sta contro il carattere essenziale della scelta storiografica
quella che Nietzsche chiamò "storia archeologica" e che consiste
nell'esigenza della conservazione riverente del passato. Questa
esigenza non implica che tutti i fatti o residui del passato abbiano
uguale valore storico, cioè uguale rilievo e significato. Si tratta
invece di una esigenza che nasce dall'opera distruttrice del tempo
e dalle difficoltà, in cui l'uomo si trova, di sottrarre a questa
distruzione pezzi e frammenti del suo passato. La storia archeologica
non avrebbe senso se il passato si conservasse integralmente e si
continuasse con ogni garanzia nel presente. La sollecitudine rispettosa
per il passato, che è l'atteggiamento proprio della storia archeologica,
implica: 1) la possibilità che gli scarsi resti del passato vadano
perduti; 2) la possibilità che ognuno di questi resti possa, da
un momento all'altro, anche se non appare nel presente, rivelarsi
significante. La storia archeologica non dimostra quindi l'eguale
storicità di tutti gli eventi, ma ha lo scopo essenziale di conservare
il materiale indispensabile della scelta storiografica e di garantire
cosi a questa scelta la varietà e la ricchezza delle sue possibilità:
la sua intrinseca libertà.
Non è qui possibile intrattenersi sulle modalità della scelta storiografica,
le quali costituiscono il problema più importante, e più difficile,
della metodologia storica. Basti qui riconoscere che l'esigenza
della scelta storiografica e il carattere individuale dell'oggetto
si richiamano e si connettono l'una con l'altro e cosi delimitano
esattamente la sfera propria dell'indagine storiografica. Ma così
delimitata, questa sfera lascia fuori di sé quello che abbiamo riconosciuto
come l'oggetto proprio della sociologia: l'atteggiamento, nel suo
carattere sempre tendenzialmente istituzionale, cioè ripetibile
e ricorrente. E' evidente che l'aspetto propriamente storico non
esaurisce la storicità fondamentale dell'uomo: è evidente cioè che,
nel suo proprio passato, l'uomo può scorgere non solo eventi che,
per un motivo qualsiasi, costituiscono una data della sua vita,
cioè una svolta o un caposaldo importante di essa, ma anche eventi
minuti, singolarmente insignificanti, ma che nel loro insieme costituiscono
la trama della vita di ogni giorno. Gli uomini nascono, muoiono,
lavorano, si sposano, hanno figli, praticano culti e riti, ecc.:
ma raramente tutte queste cose hanno un valore storico. Il più delle
volte accadono secondo un modo d'essere comune ed abituale e non
hanno rilievo né importanza speciale nei confronti di questo stesso
modo d'essere. Esse accadono secondo progetti indefinitamente
ripetibili, che costituiscono atteggiamenti o istituzioni, validi,
come tali, non nella loro singolarità ma appunto e solo per la loro
ripetibilità e ricorrenza. Atteggiamenti ed istituzioni potranno
poi essere considerati e studiati in una cerchia ristretta, localmente
e cronologicamente determinata, o in una cerchia più ampia e magari
estesissima. Ma in ogni caso saranno considerati e studiati dall'indagine
sociologica, come atteggiamenti ed istituzioni, cioè nella
loro possibilità di ripetizione.
La delimitazione di due sfere d'indagine, quella storiografica e
quella sociologica, non implica nessuna dualità né metafisica né
gnoseologica. Non si tratta di due realtà diverse e neppure di due
conoscenze diverse della stessa realtà. Per esempio, il matrimonio
di due monarchi, che ha mutato per un certo periodo la storia di
due paesi, è un fatto storico, che la storiografia ricostruisce
nei suoi motivi e nelle sue conseguenze. Ma esso è anche per il
sociologo un caso particolare (e per nulla privilegiato) di un certo
tipo di matrimonio, cioè di uno schema o progetto indefinitamente
ripetibile. Non si tratta qui della differenza tra due modi o forme
del conoscere: l'oggetto stesso è diverso nei due casi, giacché
l'oggetto della storiografia è quell'evento singolo da ricostruire
nella sua individualità e l'oggetto della sociologia è invece un
atteggiamento ripetibile da riconoscere nella sua ripetibilità.
Si tratta quindi, non già di un dualismo di realtà o di forme conoscitive,
ma di due oggetti possibili di ricerca, ognuno dei quali esige l'impiego
di particolari strumenti e di linguaggi appropriati.
Certamente la distinzione ora delineata delle due sfere d'indagine
non implica la loro separazione. Gli eventi ripetibili, di cui è
tessuta la vita di ogni giorno, costituiscono il canovaccio grigio
sui quali vengono ricamati i vividi colori della storia. Senza questo
canovaccio, la storia stessa non ci sarebbe: giacché un evento storico,
cioè tale che se ne può intendere e valutare l'importanza come qualcosa
di unico e di irrepetibile, deve questa importanza alla sua capacità
di introdurre mutamenti più o meno radicali nella trama ordinaria
della vita. Solo sullo sfondo di questa trama è possibile porre
in risalto la storicità di un evento. Tuttavia, per lo storico,
questo sfondo non esiste: praticamente, egli non se ne occupa. Il
metodo stesso della sua ricerca lo porta a concentrare i raggi della
sua lente su ciò che è significativo, unico, irrepetibile, Quello
sfondo è invece l'oggetto proprio della considerazione sociologica.
S'intende subito da ciò come non sia possibile contrapporre tra
loro storiografia e sociologia e considerarle come due alternative
escludentisi, tra le quali si debba scegliere. Esse sono due discipline
complementari perché illustrano due aspetti complementari
della fondamentale storicità umana.
La storia mira a cogliere e a ricostruire quegli eventi che, sotto
un qualsiasi aspetto, sono significativi per la vita umana, cioè
costituiscono la possibilità di nuovi indirizzi, orientamenti o
sviluppi (in meglio o in peggio) della vita stessa. La sociologia
mira a cogliere gli aspetti della vita umana per cui essa si presenta,
nel suo complesso, come un insieme di uniformità relative, quindi
di ripetizioni possibili, che sono importanti nel loro complesso
e non una per una; e tende anzi a risolvere l'evento individuale
e propriamente storico nella trama dei rapporti minuti che si ripetono
quotidianamente. Il sacrificio di uno di questi indirizzi a vantaggio
dell'altro non è quindi che un impoverimento della cultura e l'accentuazione
unilaterale di un aspetto parziale della storicità umana. Entrambi
vanno coltivati e sviluppati, senza antagonismi o polemiche inutili.
E la delineazione esatta della loro sfera rispettiva è, a questo
scopo, indispensabile. Questa delineazione vale indubbiamente anche
come determinazione critica della possibilità della sociologia.
E per essa, la sociologia si presenta come la disciplina più adatta
a gettare un ponte fra le discipline umanistiche e le scienze naturali
e quindi a eliminare un fittizio ma doloroso contrasto del mondo
contemporaneo.
Da: N. Abbagnano, Problemi di sociologia, pp. 26-30, Taylor Editore, Torino, 1959.