filosofo del '900
"Documenti e ricerche", Taylor Editore,Torino, 1956, pp. 250
Traduzioni: Mogucnost i Sloboda, trad. di Heda Festini, Nolit, Beograd, 1967; Filosofia de lo Posible ( trad. di J.H. Campos, A. Rossi, P. Duno), Fondo de Cultura Economica, México-Buenos Aires, 1959, pp. 234 (contiene i capitoli I, III, VII, VIII, IX, XII, XIII. XIV, XV di Possibilità e libertà, i capitoli I - IV di Problemi di sociologia e 17 saggi apparsi in Italia tra il 1950 ed il 1954 su varie riviste).
Critica dell'esistenzialismo negativo
Non basta, a caratterizzare una filosofia, l'esposizione dei suoi
temi preferiti. Non basta ad es. dire che l'esistenzialismo è la
filosofia dell'angoscia o dello scacco o della nausea; ci sono infatti
altre forme di esistenzialismo che hanno per tema preferito l'Essere
o il Valore o il Mistero (in senso teologico), senza che nessuno
di questi temi possa essere assunto a qualificare l'insieme del
movimento. Il giudizio su di una filosofia deve, in ragionevole
misura, prescindere dai temi che l'hanno resa popolare o che ne
hanno fatto una moda, temi che, se anche sono quelli polemicamente
più attivi perché colpiscono la fantasia o urtano contro credenze
radicate, non sempre possono essere assunti a fondamento di un giudizio
ben equilibrato. Il modo più diretto e meno arbitrario per determinare
il carattere e le direttive di una filosofia, consiste nel tener
d'occhio la maniera in cui essa intende e pratica lo stesso filosofare.
Per es. si può dire che lo spiritualismo intende e pratica la filosofia
come introspezione cioè come ricerca ed analisi dei "dati della
coscienza"; che il positivismo logico intende e pratica la filosofia
come "analisi del linguaggio" (comune o scientifico), ecc. Analogamente
si può dire che l'esistenzialismo è caratterizzato dal fatto di
intendere ed esercitare il filosofare come "analisi dell'esistenza".
Per "esistenza" basta preliminarmente intendere il complesso delle
situazioni in cui l'uomo viene a trovarsi o in cui si trova
solitamente o per lo più. Tale analisi è fatta con la procedura
seguìta in qualsiasi campo in cui si voglia istituire l'analisi:
cioè utilizzando in larga misura il linguaggio comune o scientifico
e correggendolo o integrandolo, dove lo si ritenga opportuno, con
elementi linguistici della tradizione filosofica o escogitati e
proposti ad hoc. Ma l'analisi di una situazione esistenziale
esige che siano considerati inclusi, dentro di essa, tutti gli elementi
che entrano a comporla: cioè non soltanto l'uomo singolo, nei suoi
specifici modi d'essere e di agire, ma anche gli altri uomini, le
cose ecc. e, in una parola, il "mondo" in generale: giacché solo
rispetto a questo complesso di fattori gli specifici modi d'essere
e di agire del singolo uomo possono essere compresi. In altri termini,
una situazione presenta sempre l'uomo in rapporto con gli
altri uomini, le cose e (nei limiti in cui l'espressione è valida)
se stesso. L'analisi esistenziale è perciò analisi dei rapporti,
i quali si accentrano bensì intorno all'uomo, ma vanno immediatamente
al di là di lui perché lo connettono (in modi diversi, che occorre
determinare) con altri esseri e cose. Ora parlare di rapporti significa
parlare di condizioni cioè significa dire che un qualsiasi
soggetto di rapporti possiede caratteri o qualità solo nei limiti
di questi rapporti, che pertanto lo condizionano, nel senso che
gli rendono possibile essere quello che è. Ma proprio a questo punto
appare chiaramente in luce lo strumento principale della analisi
esistenziale: la nozione di possibile. Ciò che entra in un rapporto
esistenziale, in quanto è condizionato da tale rapporto, è un possibile
e soltanto un possibile. In altri termini, l'esistenza, in quanto
modo d'essere in una situazione è esistenza possibile. Il tratto
che la caratterizza, è quello d'essere una possibilità d'essere
e, come tale, anticipazione e progettazione. La sua dimensione temporale
primaria è perciò il futuro: non tuttavia un futuro indeterminato,
nel quale o per il quale tutto sia possibile, ma un futuro delimitato
dal passato che solo consente la determinazione delle possibilità
che si prospettano. Il passato condiziona e limita il futuro - cioè
le possibilità che si prospettano all'uomo, nelle situazioni particolari,
sotto la forma anticipatoria di previsioni o progetti.
I vari indirizzi dell'esistenzialismo, nonché i loro urti polemici,
possono essere spiegati con l'uso che essi fanno di questa nozione
fondamentale. Si possono grosso modo distinguere due interpretazioni
della nozione di possibile, le quali costituiscono ognuna la base
di un gruppo ben definito di filosofie esistenzialistiche. Secondo
la prima di queste interpretazioni, il possibile è la prospettiva
negativa che accompagna tutto ciò che l'uomo può essere o progettare
e che rende pericolosamente fittizia, e al limite nulla, ogni sua
iniziativa nel mondo. Kierkegaard, che è stato il primo a sottolineare
nell'età moderna la nozione di possibile, è anche colui che più
fortemente ha insistito sull'aspetto nullificante del possibile,
mostrando come esso roda e distrugga ogni aspettativa o capacità
umana e come sconfigga ogni calcolo ed accortezza col giuoco del
caso e delle possibilità insospettate. Perciò, secondo Kierkegaard,
colui che è educato all'angoscia (che è per l'appunto il "sentimento
del possibile") è portato a ritenere nulla ogni possibilità mondana
ed a rivolgersi alla fede, cioè a Dio che è Colui "al quale tutto
è possibile". Senza l'alternativa religiosa proposta da Kierkegaard,
la stessa interpretazione del possibile si trova in Heidegger, Jaspers
e Sartre per i quali tutto ciò che si prospetta all'uomo come possibile,
condizionato com'è dai limiti e dalla situazione in cui si prospetta,
non fa che ricadere in questa situazione, appiattirsi in essa, e
rivelarsi da ultimo come autenticamente impossibile.
La seconda interpretazione è quella che riconduce la nozione di
possibilità a quella di potenzialità nel senso aristotelico del
termine. Così inteso, il possibile perde il suo aspetto negativo
e preoccupante giacché una potenzialità è sempre "destinata a realizzarsi".
Questa trasformazione del possibile, da categoria dell'instabilità
e dell'incertezza problematica in categoria della stabilità e della
fiduciosa certezza, è operata agganciando le possibilità esistenziali
ad una realtà assoluta (l'Essere, il Valore ecc.) da cui esse deriverebbero
la loro stabilità e certezza, la loro garanzia di realizzazione
infallibile. Le possibilità esistenziali si trasformano, per questa
via, in rosee prospettive di successo per le quali nulla di ciò
che l'uomo veramente è, o dei suoi valori fondamentali, può andare
perduto, dal momento che ad essi è concessa una garanzia assoluta
e trascendente.
Riferendosi certo alla prima di queste interpretazioni, Norman Cousins
scriveva recentemente in un editoriale della "Saturday Review" (10
luglio 1954) intitolato The Decline and Fall of Existentialism:
"La causa del fallimento dell'esistenzialismo deve essere cercata,
crediamo, nell'indirizzo nichilista che esso ha preso. La personalità
umana non è nichilista. Forse, sotto certe circostanze e per limitati
periodi, l'uomo) può farsi una virtù del disfattismo, ma alla lunga
il suo equilibrio si ristabilisce ed egli diventa avido di ispirazione
e di valore positivo". Questo è senza dubbio vero per le filosofie
che abbiamo raggruppato sotto la prima interpretazione della categoria
del possibile. Ma, in forma diversa, è anche vero di quelle che
fanno capo alla seconda interpretazione. Questa in realtà non conduce
che ad una giustificazione post factum dell'esperienza umana
e costituisce un panegirico della realtà umana più che un tentativo
di comprenderla. Se difatti si ammette che tutte le possibilità
esistenziali sono destinate a realizzarsi, in quanto fondate sull'
Essere o sul Valore, non si fa che coprire d'un manto verbale gl'insuccessi
e le miserie dell'uomo. Se si ammette invece che non tutte
le possibilità umane sono così fondate, quindi non tutte sono destinate
a realizzarsi, ci si trova di fronte all'imbarazzante problema di
riconoscere quali sono quelle realmente ben fondate; ed a
questo problema il presupposto del loro fondamento trascendente
non reca alcuna possibilità di soluzione. Le due tesi generali che
le possibilità umane sono destinate all'insuccesso e che esse sono
destinate al successo non fanno alcuna differenza nell'atteggiamento
che suggeriscono all'uomo; l'una e l'altra lasciano infatti l'uomo
senza difesa e senza mezzi per affrontare le situazioni reali. La
prima lo abbandona all'angoscia, alla disperazione ed alla nausea,
la seconda lo abbandona al sapere fittizio, alla superstizione ed
al mito.
L'alternativa positiva dell'esistenzialismo
Se le due interpretazioni accennate della categoria di possibile
fossero le sole possibili, non bisognerebbe esitare a pronunciare
un giudizio critico negativo sull'esistenzialismo. Il giudizio dovrebbe
essere negativo per ciò che riguarda, s'intende, la funzione a venire
di questa filosofia; giacché non c'è dubbio, mi pare, sulla funzione,
risolvente e liberatrice, che essa ha esercitato negli anni scorsi
ed a cui ho accennato nella prima parte di questo scritto. Per ciò
che riguarda l'avvenire, invece, pare che l'esistenzialismo abbia
lasciato l'uomo allo sbaraglio; che si sia rifiutato di proporgli
qualsiasi mezzo, strumento, tecnica o atteggiamento atto ad affrontare
l'instabilità delle faccende umane, a consentire di guardare al
futuro con ragionevole, se pure guardinga fiducia, e di affrontare
"rischi calcolati". Oscillando tra il nulla ed il tutto, tra l'instabilità
più radicale e la più granitica stabilità, tra l'impossibile ed
il necessario, queste filosofie pare si siano disinteressate di
ciò che l'uomo può conseguire nei gradi della misura finita, nelle
forme della stabilità parziale e relativa, e nella cauta considerazione
del probabile. Ed in realtà sono state trascurate, da questo esistenzialismo,
le due fonti da cui l'uomo trae gli strumenti e le tecniche delle
sue attese positive: la natura e la società.
Ma io ho sempre ritenuto e ritengo che esista un'altra alternativa
nell'interpretazione di quella categoria del possibile sulla quale
l'esistenzialismo s'impernia. Questa interpretazione consiste nell'assumere
nell'intero suo significato la categoria stessa e nel farne un uso
coerente. Per uso coerente intendo un uso che non trasformi surrettiziamente
la categoria in una categoria diversa ed opposta: cioè che non trasformi
il possibile in necessario od in impossibile (che è il negativamente
necessario). E per "intero significato" intendo quello che comprende
le due facce del possibile ed evita di sacrificare l'una a vantaggio
dell'altra. Difatti, la prospettiva aperta da una possibilità non
è né la realizzazione infallibile né l'impossibilità radicale, ma
piuttosto una ricerca diretta a stabilire i limiti e le condizioni
della possibilità stessa e quindi il grado di garanzia relativa
o parziale che essa può offrire.
Ora ritengo che solo su questa base si può porre la domanda circa
la validità dell'esistenzialismo e la sua funzione nella filosofia
militante. Questa domanda non avrebbe senso rispetto ai temi che
hanno reso popolare l'esistenzialismo e coi quali il più delle volte
viene identificato. Non ci si può chiedere quale atteggiamento positivo
l'uomo può assumere nei confronti dell'angoscia, dello scacco, della
nausea ecc. o dell'esaltazione moralistica o misticheggiante che
è propria degli altri esistenzialismi; perché tutte queste cose
sono già atteggiamenti finali e conclusivi ai quali conducono particolari
interpretazioni dell'esistenza. Ma si può e si deve chiedere quali
vie rimangano aperte per l'uomo se l'esistenza di lui viene veramente
intesa come esistenza possibile, se cioè si utilizza in modo
coerente lo strumento concettuale che l'esistenzialismo ha messo
a disposizione dell'indagine filosofica.
In questo caso, si possono intravedere alcune prospettive. In primo
luogo come stimolo alla ricerca ed al ritrovamento, in ogni campo
di efficaci strumenti di verifica e di controllo, l'esistenzialismo
si evolve verso un empirismo radicale, che eviterà tuttavia la riduzione
dei dati dell'esperienza a dati sensibili (un dato è sempre una
possibilità di ... che può essere controllata cioè ripetuta
ad arbitrio). Si è già insistito sulla tendenza empiristica delle
teorie dell'esistenza (J.M. Bochenski, Jean Wahl). Questa tendenza
può essere esplicitamente riconosciuta ed assunta solo da una interpretazione
positiva e coerente della nozione di possibile. Se un'ipotesi, una
teoria o in generale una proposizione non è che un "può essere"
che apre una certa prospettiva sul futuro, la sua validità consiste
non solamente nel poter essere messa alla prova ma nel poter riproporsi,
dopo la prova, ancora come un "poter essere" per il futuro. Da questo
punto di vista i criteri in uso nelle scienze ed in generale nelle
discipline particolari per decidere intorno alla validità delle
loro proposizioni ed alla realtà dei loro oggetti possono essere
assunti come determinazione e specificazione del criterio della
possibilità; o reciprocamente quest'ultimo può essere assunto come
una generalizzazione di criteri specifici. Questo riconoscimento
non solo toglie di mezzo la polemica contro la scienza cui indulgono
alcune forme dell'esistenzialismo, ma permette alla filosofia di
stabilire rapporti più fecondi con le scienze specialmente con la
metodologia delle scienze, consentendo di scorgere l'orizzonte comune
entro il quale si muovono, con reciproca autonomia, le indagini
rispettive.
In secondo luogo, ed una volta riconosciuto, su questa base, il
carattere individuato, concreto delle possibilità esistenziali,
in quanto si radicano sempre in situazioni determinate, la condizionalità
naturale e storico-sociale di tali possibilità può essere agevolmente
riconosciuta e si apre la via verso l'utilizzazione delle tecniche
di ricerca e di controllo e dei risultati positivi e negativi di
cui l'indagine positiva dispone nei campi corrispondenti. Un atteggiamento
sempre più aperto all'indagine positiva e al lavoro associato, sempre
meno disposto a soluzioni puramente verbali dei problemi umani,
sempre più deciso ad istituire controlli rigorosi per smantellare
le pretese di soluzioni uniche e definitive - è il primo risultato
che questo indirizzo. Il quale però dovrà svilupparsi nel senso
di fecondare di sé le stesse ricerche positive, ispirando la loro
problematico, disciplinandone i dogmatismi e fornendo loro i mezzi
per l'interpretazione e la generalizzazione dei loro risultati.
In terzo luogo, e come conseguenza degli atteggiamenti su accennati,
l'esistenzialismo dovrà tagliare i ponti con lo spiritualismo, con
l'idealismo e con ogni forma di intimismo verso i quali ha assunto
finora una posizione di compromesso e insistere (come ha già fatto
in talune delle sue forme negative) sul carattere laico e mondano
della ricerca filosofica cioè sulle condizioni naturali e storico-sociali
che le suggeriscono i suoi problemi e le offrono gli strumenti per
le loro soluzioni. Giacché, da questo punto di vista, le sole garanzie,
parziali e limitate, di cui l'uomo può disporre sono quelle offertegli
dalle sue tecniche e dai suoi modi di vita sperimentati, nonché
dalle possibilità, che esse gli dischiudono, di trovarne e di sperimentarne
di nuove. Se finora l'esistenzialismo è stato, prevalentemente,
un clamoroso grido di allarme per la civiltà contemporanea, nel
periodo e nella situazione in cui il pericolo per i valori su cui
essa regge, era reale e immanente, d'ora innanzi esso potrà contribuire
a formare negli uomini il senso misurato del rischio, a renderli
meno esposti alle delusioni dell'insuccesso e alla esaltazione della
riuscita, e a disporli alla ricerca, in ogni campo, di mezzi efficaci
per la soluzione dei loro problemi.
Certamente un esistenzialismo siffatto non è adatto a fabbricare
miti o a incoraggiarli. Esso non partecipa né al mito della Scienza
né al mito dell'Anti-scienza, né al mito della Tecnica, né al mito
dell'Anti-tecnica. Cerca di comprendere la tecnica e la scienza
nella loro formazione storica e nella loro realtà attuale considerandole
nei loro procedimenti effettivi e dal punto di vista delle possibilità
umane da cui traggono origine o che da esse traggono origine. Non
si nasconde né i limiti della scienza né i pericoli della tecnica.
Ma non ammette che i limiti della scienza possano essere sorpassati
da un sapere fittizio o superstizioso né che i pericoli della tecnica
possano essere evitati con la pura e semplice condanna della tecnica
stessa in nome dei "valori dello spirito". I pericoli oggi derivanti
dalla scienza e dalla tecnica (dalla bomba atomica alla meccanizzazione
dell'uomo) non si combattono con prediche, profezie e miti, ma solo
trovando e mettendo a prova altre tecniche: tecniche di convivenza
umana, che gli antichi chiamavano "saggezza" e la cui ricerca è
stata sempre il compito della filosofia.
Se le considerazioni precedenti hanno qualche fondamento, la discussione
intorno alla decadenza e alla morte dell'esistenzialismo, perde
molto del suo significato. Una filosofia non può aspirare all'immortalità
dei suoi enunciati dottrinali e dei suoi atteggiamenti polemici.
Questi rimangono a caratterizzare fasi o periodi determinati dall'esperienza
umana nel mondo, e come possibilità ricorrenti in cui questa esperienza
potrà eventualmente riconoscersi ed esprimersi nel futuro. Ma la
sua fecondità storica è condizionata dalla sua capacità di spogliarsi
dalle punte polemiche, di penetrare con le sue direttive nella vita
quotidiana degli uomini e a fornire all'indagine umana in qualche
campo qualche strumento efficace e permanente. Questa, per una filosofia,
non è una morte ma una trasfigurazione. Forse, l'esistenzialismo
può essere capace di questa trasfigurazione.
Da: N. Abbagnano, Possibilità e libertà, Capitolo II, pp. 29-37, Taylor, Torino, 1956. Lo stesso brano si trova anche alle pp. 157-166 di N. Abbagnano, L'esercizio della libertà. Scritti 1923-1988, a cura di Bruno Maiorca, Boni Editore, Bologna, 1990. L'intero II capitolo è riprodotto alle pagine 585-597 di N. Abbagnano, Scritti esistenzialisti, a cura di Bruno Maiorca, "Classici della filosofia", UTET, Torino, 1988.