filosofo del '900
in "La Stampa", 11 Novembre 1992 - 1992
Il filosofo del positivo
Quando mori', all'eta' di 89 anni, nel 1990, Abbagnano era diventato (o forse ridiventato, se si considera la larga fama extra accademica di cui aveva goduto ai tempi della moda esistenzialistica dell' immediato dopoguerra) una figura popolare di “filosofo del quotidiano” collaborava a giornali e riviste e aveva pubblicato alcuni libri (come La saggezza della vita, Rusconi,1985), che si proponevano non tanto come opere di divulgazione della filosofia, ma come scritti, nel senso migliore, edificanti. Questo esito era apparso ad alcuni dei suoi allievi più' rigidamente legati alla sua eredità di grande storico del pensiero filosofico come un cedimento, una specie di vezzo senile, facilmente perdonabile alla luce del suo passato di studioso, ma da non prendere troppo sul serio. Eppure l'Abbagnano “edificante” degli ultimi anni, che aveva persino accettato, per un breve periodo, di impegnarsi in politica (fu assessore alla Cultura del Comune di Milano, eletto nelle liste del PLI), non faceva che portare alle logiche conseguenze una concezione della filosofia che aveva elaborato almeno a partire dalla fine degli Anni Trenta, e che forse solo oggi possiamo apprezzare nella sua portata anticipatrice Si tratta di quello che egli chiamò l' “esistenzialismo positivo” e che, insieme all' elaborazione dell' esistenzialismo in senso ermeneutico proposta negli stessi anni da Luigi Pareyson, rappresenta lo specifico contributo italiano a questa scuola di pensiero. Abbagnano riprendeva dai grandi esistenzialisti tedeschi, Heidegger e Jaspers, l'idea di esistenza come possibilità e progetto. Secondo lui, però, la nozione di possibilità andava liberata dalle connotazioni troppo negative che la caratterizzavano nell'esistenzialismo classico, il quale insisteva quasi esclusivamente sull'angoscia che coglie l' uomo davanti all' orizzonte infinito (e minaccioso) del possibile, o sullo scacco a cui ogni progetto umano, in quanto necessariamente finito, va incontro. Per Abbagnano, che in questo si ricollegava esplicitamente a Kant, la possibilità ha un carattere “trascendentale”: si presenta cioè già sempre qualificata e determinata, non può essere vissuta (e temuta) come possibilità pura e indefinita. Anche in un altro senso la possibilità trascendentale si ricollega a Kant: funziona infatti come un criterio etico. Nella scelta morale, bisogna preferire quella condotta che, realizzandosi, mantiene aperta la possibilità di essere scelta ancora. Per esempio: si può essere tentati di mentire solo in un mondo in cui, in generale, si dice la verità, se no la menzogna non ci servirebbe a niente; e chi mente sceglie un comportamento che, se diventasse generale, annullerebbe la propria stessa possibilità. Questa applicazione etica della idea di possibilità (che del resto è solo una riformulazione fedele della morale kantiana) è forse l'esempio più chiaro di come funziona l'esistenzialismo positivo di Abbagnano: non tanto come una considerazione astratta della problematicità globale dell' esistenza, ma come apertura sulle specifiche problematicità che di volta in volta ci concernono, nella loro determinatezza storica. Rispetto alle quali, l' imperativo di mantenere aperta la possibilità funziona in modo non retorico come significativo criterio di scelta. Su queste stesse basi si capisce la posizione che Abbagnano tenne, negli Anni Cinquanta e Sessanta, nei confronti della filosofia analitica e del neopositivismo, che in generale gli esistenzialisti tendevano a respingere in blocco (ripagati del resto con la stessa moneta) in quanto irrimediabilmente dominati da pregiudizi scientistici. Quanto più l'idea di possibilità è intesa come apertura alla considerazione di situazioni problematiche determinate, tanto più essa ci dispone a considerare con interesse il lavoro concreto degli scienziati, i loro strumenti logici, le tecniche che impiegano nella ricerca e quelle che, con i risultati dei loro esperimenti, mettono a disposizione di tutti. Fra i pensatori di origine esistenzialistica, Abbagnano fu certamente quello che intrecciò il dialogo più' rispettoso e fecondo con le scienze (sia le scienze della natura sia le scienze dello spirito, come la sociologia), e che guardò con minori pregiudizi il mondo della tecnica moderna. E' facile vedere che il finale approdo alla filosofia “edificante”, intesa come saggezza di vita che deve potersi comunicare anche al di fuori della cerchia degli specialisti e' solo un ulteriore passo nello sviluppo delle premesse dell' esistenzialismo positivo. Quello che forse e' meno immediatamente evidente è ciò che si può chiamare la portata anticipatrice del pensiero di Abbagnano esistenzialista. Per lontano che possa sembrare, anche il pensiero del cosiddetto “secondo Heidegger” si è mosso in una direzione analoga. Forse già in Essere e tempo (contrariamente a quanto pensava Abbagnano), ma certamente nelle opere successive, Heidegger ha sviluppato la sua filosofia dell' essere come una meditazione sulla storia dell' essere, cioè non tanto (nei termini di Abbagnano) sulla possibilità pura e astratta ma sulle figure di volta in volta diverse e storicamente determinate con cui essa ci si presenta. Sia nel caso di Heidegger, sia in quello di Abbagnano si tratta di liberare la cosiddetta realtà dalle sue pretese di definitività perentoria, riportandola in molteplici sensi, al suo carattere di possibilità. E' su basi come queste che, negli ultimi anni, si è aperto un fitto dialogo tra filosofi di formazione pragmatista e analitica (come Richard Rorty) e pensatori che si richiamano a Heidegger e all' ermeneutica Possiamo oggi riconoscere Abbagnano come uno dei principali precursori di un tale dialogo.
Gianni Vattimo
In: “La Stampa”, 11 novembre 1992