DELPINO M.

Ricordo di Nicola Abbagnano Il maestro dell'esistenzialismo positivo

in “Bacherontius”, n. 9-10 nov. 2007, p. 5 - 2007

Il Maestro dell'esistenzialismo positivo

 
 RICORDO DI NICOLA ABBAGNANO
Il Maestro dell'esistenzialismo positivo
 
Il 29 e 30 marzo 1996, nei saloni della secentesca Villa Durazzo, a Santa Margherita Ligure, la nostra Casa editrice, con il patrocinio del Comune rivierasco, promosse ed organizzò un Convegno sulla figura del filosofo Nicola Abbagnano, con particolare attenzione al tema della finitudine dell'uomo. Una "due giorni" di approfonditi studi, con interventi di allievi e docenti (alcuni di fama internazionale) di quell'affascinante scienza che è la Filosofia. Il Convegno rappresentò un ulteriore contributo all'approfondimento dell'opera di Abbagnano, con riferimento all'uomo e al rapporto di questi con il Sovrannaturale, cioè al dialogo con Dio. Sul perché la cittadina ligure di Santa Margherita abbia voluto onorare – attraverso due giornate di studi - un grande esponente della scienza filosofica che nacque a Salerno e che abitò per molti anni a Torino prima e a Milano sino alla morte, è presto detto. Abbagnano era molto legato a Santa Margherita Ligure, la scelse come sua dimora e dimostrò di amarla al punto da lasciar scritto di voler essere sepolto nel suo cimitero. Lui era come una rondine che, ogni estate, tornava dalle nebbie padane in questa città per gioire del suo mare, del verde delle sue colline, del clima e forse anche di quel tramonto indimenticabile che lo scrittore francese André Gide, in un "reportage" divenuto celebre, definì "l'heure bleue" (l'ora blu), per indicare quel magico momento, che dura pochi attimi, in cui tutto l'ambiente, compresa l'aria, si colora di un tenue colore azzurrino. Un'atmosfera di vera poesia che certamente Abbagnano gradiva. Lo ricordo, nei suoi soggiorni rivieraschi, quando, alla vista dell'incantevole spettacolo del Tigullio e del suo Golfo, il suo volto pareva vibrare di una soavità che si esprimeva con quegli occhi chiari, pieni di luce, e con un sorriso leggermente abbozzato sulle labbra. Osservandolo, proprio per la sua figura raffinata e bonaria, Abbagnano, più che un filosofo immerso nella severità degli studi, sembrava davvero un poeta, un sognatore. E, in effetti una ondata di poesia attraverso tutta la sua opera. Nel 1988, in una intervista che gli feci a Santa Margherita, al Premio Letterario Franco Delpino, alla domanda se si sentisse più ottimista che pessimista rispose: «Come ogni persona di buon senso, mi sforzo di essere un realista. E dico sempre a me stesso: cerchiamo di vedere dove sono i pericoli e dove stanno le cose buone. Diamo forza agli elementi positivi della vita». Mi colpì questo suo realismo. E penso che questo concetto della vita l'abbia accompagnato per tutto l'arco della sua esistenza. Non voglio entrare nel merito della sua concezione filosofica; molti l'hanno fatti in passato ed altri studiosi lo continueranno a fare attraverso lo studio e l'analisi dell'opera che il filosofo ha lasciato a testimonianza del suo ingente lavoro di ricerca. Mi piace però evidenziare il fatto d'aver trovato nella concezione della vita di Abbagnano, almeno nell'ultimo Abbagnano, quello che ho conosciuto, una segreta venatura di religiosità che faceva distinguere il suo "esistenzialismo", che lui chiamava "positivo", da quella scienza trionfante e da quella pura tecnica, che non trova nessi logici e dialettici nella filosofia. Ma e soprattutto del carattere dell’uomo che desidero rimarcare due aspetti per me fondamentali, la semplicità e la modestia. Quella semplicità che fece di lui un grande comunicatore, un volgarizzatore della filosofia, come ne sono testimonianza i pregevoli testi del Dizionario di filosofia o la Storia della filosofia" o, ancora, il suo ultimo libro La saggezza della filosofia che, al pari del penultimo divenne un bestseller. Della sua modestia abbiamo assaporato per anni i benefici influssi, come quando si soffermava a parlare con il pescatore, con il marinaio, con l' uomo semplice, o come quando paragonava il carattere del ligure, nella sua natura contorta e complessa, che pero lui aveva capito, all' albero di ulivo, che e il simbolo della regione che per anni lo ha ospitato. Abbagnano scelse Santa Margherita nella primavera di tanti anni fa, ed acquistò quello che lui chiamava il buen retiro il primo aprile 1959. Fu, come disse nella citata intervista, un simpatico pesce d-aprile, perché Santa Margherita contò molto nel suo destino per almeno trent'anni. Qui conobbe, Gigliola, che sposò nel 1972. Il suo arrivo portò una nuova e fausta luce. Collaboratrice e segretaria, gli stessi ideali di vita, Gigliola era ben felice di scrivere a macchina gli interventi o gli articoli che lui inviava al "Giornale" di Montanelli e alle riviste cui collaborava con assiduità. Per diciotto anni quel loro legame è sempre stato stretto e affettuoso. Abbagnano amava il mare: immergersi e riemergere dalle acque del Tigullio era per lui un momento di gioia e di allegria. L'ultima estate riuscì a vedere quella grande distesa azzurra che per lui era vita solo per pochi giorni. Se ne andò all’alba del 9 settembre 1990. Alla moglie lasciò scritto “Voglio essere seppellito a Santa Margherita, che mi è stata tanto cara. Mi ha rallegrato la vita, mi ha aiutato…”
                                                                                                                                                                                                                                    Marco Delpino
                  
In: “Bacherontius”, n. 9-10 nov. 2007, p. 5