filosofo del '900
in “Bacherontius”, n. 9-10 nov. 2007, pp. 5-6 - 2007
L'estate del 1990 volgeva al termine del suo corso stagionale e con essa cessava, il 9 settembre, la vita laboriosamente intelligente di Nicola Abbagnano, che qualche mese prima aveva compiuto 89 anni. Nativo di Salerno, "alla foce dell'lmo, nell'angolo più interno del golfo omonimo, compreso tra la spiaggia della piana del Sele e la dirupata costa amalfitana della penisola sorrentina", Nicola Abbagnano - uno dei più importanti filosofi del Novecento italiano ed europeo - riposa, per sua espressa volontà a Santa Margherita Ligure, la sua quinta città, dopo Napoli, Torino e Milano.
Molti, e ovviamente contrastanti, sono gli schemi storiografici interpretativi dell'itinerario speculativo e filosofico di Abbagnano. Schemi e analisi che, in qualche misura, sono stati in parte accolti e in parte superati dai tre distinti convegni nazionali di studio a lui dedicati (Salerno, novembre 1992, Una filosofia dell'uomo del 1995; Santa Margherita Ligure, marzo 1996, Nicola Abbagnano, l'uomo e il filosofo del 1999, e infine Torino ottobre 2001, Nicola Abbagnano. Un itinerario filosofico del luglio 2002).
A mo' di esempio, tra gli schemi interpretativi cito uno dei più accreditati e diffusi: quattro fasi co-stituirebbero il tragitto del pensiero e della ricerca filosofica dell'Abbagnano. La prima, quella giovanile o napoletana, caratterizzata come "irrazionalistica e vitalistica" e tuttavia già "adombrante alcuni capisaldi del futuro esistenzialismo positivo". La seconda, "contrassegnata dall'evidente transizione dal vitalismo all'esistenzialismo positivo, e dall'influsso, criticamente filtrato, di Husserl, Heidegger e Jaspers". La terza, quella più matura, la più conosciuta, la più tradotta con la successiva all'estero, contraddistinta da La struttura dell'esistenza (1939) e fino ad Esistenzialismo positivo (1948). La quarta fase, risolventesi in un "empirismo radicale", avviata a metà degli anni '50 con Possibilità e libertà e poi sino al capolavoro, potentemente ispirato qual è il Dizionario di filosofia (1961).
In aggiunta alle fasi brevemente accennate, v'è poi l'ultimo Abbagnano, quello per intenderci che scriveva sui giornali, sui settimanali, cioè la quinta e conclusiva tappa definitiva talvolta sminuita o, per lo meno, non esaminata a dovere da coloro i quali intendono unicamente la filosofia come “sapere esperto”. Pone rimedio a questo stato interpretativo Salvatore Veca, nella relazione al già citato convegno di Torino nel 2001 per il centenario della nascita di Abbagnano, quando mette e a fuoco “alcuni aspetti del modo di fare filosofia popolare” riferendosi soprattutto agli interventi giornalistici raccolti in La saggezza della vita (1985), e ne esamina "la connessione fra le tesi avanzate da Abbagnano nei suoi scritti neoilluministici e lo stile della sua filosofia popolare” (Cfr. Nicola Abbagnano. Un itinerario filosofico, a cura di Bruno Miglio, Il Mulino, Bologna, 2002).
Qualche anno fa, e precisamente nel 2003, Silvio Paolini Merlo ha dato alle stampe per le edizioni Guida un interessante volume, Abbagnano a Napoli. Gli anni della formazione e le radici dell'esistenzialismo positivo, impreziosito da una "Premessa" di Giuseppe Cantillo. Oltre alla tesi di laurea su L'esistenza come struttura in Nicola Abbagnano, Silvio Paolini Merlo ha al suo attivo altri scritti sullo stesso filosofo salernitano ed ora, come sottolinea Cantillo, "indipendentemente dalla interpretazione che egli propone ha il merito di soffermarsi analiticamente sui testi e i documenti di quel periodo, portando alla luce aspetti poco noti della vicenda intellettuale del filosofo salernitano". I primi tre capitoli dell'Abbagnano a Napoli di Paolini Merlo trattano a fondo e con dovizia di particolari la formazione intellettuale del giovane filosofo dall'avvio degli studi universitari nel 1918, fino alla collaborazione alla rivista "Logos" dal 1921 al 1933, dopo aver analizzato la figura di Filippo Masci e il confronto di Abbagnano con lo sperimentalismo spiritualistico del suo maestro Antonio Aliotta. Seguono, poi, nell'ordine la tesi sul vitalismo del pensiero e la dura polemica con Benedetto Croce e un altro intero capitolo sui primi studi storiografici (in particolare l'idealismo angloamericano, Ockham, Meyerson e i temi della fisica nuova), e gli aspetti pedagogici dell'Abbagnano pre-esistenzialista.
L'analisi e l'approfondimento dei temi metafisici nel giovane Abbagnano – per intenderci l'Abbagnano precedente La struttura dell' esistenza del 1939 -, secondo Paolini Merlo privilegia in ultima istanza la metafisica esistenziale, quella cioè che "ha a che fare con l'essere in quanto possibilità trascendentale, in quanto struttura. L'uomo, la realtà, il mondo, la storia, i fatti naturali, secondo quest'ultima prospettiva, per quanto irriducibili gli uni agli altri, non sono più termini inconciliabili e oppositivi di un'unità superiore che li sorregge e li ordina, giacché non hanno più alcun senso una volta considerati anteriormente o al di fuori del rapporto situazionale. L'universo non è pensato o voluto, ma pensabile e decidibile, è coscienza e volontà di se stesso. Nell'essere non c'è nessun prius, nessun cominciamento, nessuna verità ultima. Esso è possibilità e nient'altro che possibilità; che l'uomo deve saper recuperare e fare propria attraverso un moto di realizzazione autonomo".
Abbagnano va nella fase matura del suo pensiero oltre il cliché degli esistenzialisti per i quali secondo Sossio Giametta, evidentemente è l’essere che sta nel nulla, nel quale non possono che rimanere a macerarsi, cioè in filosofia segnare il passo. Per Abbagnano, l’essere esistenziale è soprattutto storico e non è né logico né ontologico. Tesi centrale del saggio di Paolini Merlo Abbagnano a Napoli, è la critica misurata della radice aliottiana dell’attività speculativa di Abbagnano, attribuitagli da Giuseppe Semerari in un saggio degli anni '60 e che poi andrà a far parte del Novecento filosofico italiano. Situazioni e problemi (Guida, Napoli, 1988). In particolare, l'Autore di Abbagnano a Napoli, pur concordando con le conclusioni"di Semerari, "si distacca nettamente quanto alle premesse", ovverosia che "il cosiddetto pre-esistenzialismo abbagnaniano possa essere stato favorito in qualche misura dallo sperimentalismo di Aliotta non significa che esso ne sia a tutti gli effetti una derivazione o, come Semerari sostiene, una radicalizzazione".
Si può dire che sul periodo napoletano di Abbagnano, insieme al saggio di Giuseppe Cantillo sulla "scuola di Aliotta" inserito nei citati atti del convegno di Torino del 200l, il contributo di Paolini Merlo è interessante e scava finora più a fondo. E tuttavia, poiché la ricerca non ha mai fine, si può ancora dire relativamente a primo Abbagnano, che alcune tessere del mosaico formativo della riflessione matura di Abbagnano non sono del tutto chiare. Per esempio, come Heiddeger e Jaspers - tra gli esistenzialisti -siano venuti a maturazione critica ne La struttura dell'esistenza del 1939," la più sconvolgente - secondo Norberto Bobbio – tra le opere di rottura “del panorama filosofico italiano del periodo, mai però tradotta all’estero.
Proprio sul periodo esistenzialistico e neoilluministico, quello cioè torinese, indaga Carlo Augusto Viano nel saggio conclusivo dedicato a Nicola Abbagnano nella raccolta di scritti Le stagioni filosofiche. La filosofia del Novecento fra Torino e l’Italia ( Il Mulino, Bologna, 2007). Per la verità, si tratta della riproposta della relazione svolta da Viano al convegno torinese del 2001 w già pubblicata col titolo “Personaggi e parole. Dalla Storia della filosofia al Dizionario di filosofia”, nella citata raccolta degli atti, Nicola Abbagnano. Un itinerario filosofico del 2002.
“Per Abbagnano”, osserva Viano, “l'essere non fu mai il Padre Eterno, neppure la sua metafora. Nella Torino degli anni Cinquanta e Sessanta, tutta azienda automobilistica e classe operaia, clericalismo soffice e impegno civile, nella quale qualcuno studiava per diventare cattolico e marxista e qualcun altro incominciava a presentare la società moderna come opera del diavolo, solo le piazze conservavano qualcosa di luciferino nella loro geometria. Passeggiando lungo una di quelle piazze, allora non affollate, con Abbagnano costruivamo innocenti elogi del poiliteismo. Se era qualcosa, l’essere di cui parlava era politeistico. Allora non sapevano ancora che i monoteismi sarebbero stati, dopo il tramonto delle ideologie del Novecento, le terrificanti minacce del terzo millennio”.
Una pagina oltre, lo stesso Viano - avviandosi alla conclusione della sua relazione in occasione in occasione del centenario della nascita del suo Maestro – scrive: “ Alla scuola Abbagnano nacque una certa orgogliosa pratica di rifiuto delle tradizioni e di diffidenza per le ideologie, una storiografia filosofica senza eroi, con un certo gusto per il radicalismo, che era merce rara nel nostro paese". E poiché il Maestro di Viano, e di Pietro Rossi, "non gridava", vale la pena "ricordare il suo discorso quieto, il suo modo gentile di offrire la propria inventiva filosofica, la sua serenità schiva e pudica, coltivata in una vita segnata da grandi dolori".
Oggi, a 17 anni dalla sua scomparsa, si può e si deve condividere quel che Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano sostengono nella pagina finale della loro introduzione alla silloge, da me curata, degli Scritti neolluministici di Abbagnano pubblicati dalla UTET nel 2001: “Il più importante di questi [contributi] fu, indubbiamente, un frutto tardivo, il Dizionario di filosofia che Abbagnano pubblicò nel ’61, dopo un decennio di lavoro metodico condotto da solo (anche se gli articoli principali erano stati discussi con gli allievi più vicini, e messi alla prova nei corsi universitari). La ragione a cui lui aveva guardato con fiducia nell’immediato dopoguerra, la ragione intesa come “una forza umana diretta a rendere più umano il mondo”, era fallita nel suo intento: il peso schiacciante delle ideologie, aggiungono al proposito Rossi e Viano, si avviava ad occupare lo spazio che il “nuovo illuminismo” aveva rivendicato. La trasformazione razionale della realtà che questo si era prefisso era risultata impossibile, e il suo progetto egemonico si rivelò ben presto privo di una prospettiva di realizzazione. Abbagnano si affidò allora alla chiarificazione teorica, all’illustrazione e all’analisi delle alternative concettuali che la filosofia aveva prodotto nel corso della sua storia millenaria. E attraverso le pagine del Dizionario – concludono Rossi e Viano – parecchio dell’insegnamento di Abbagnano, dell’Abbagnano neo-illuminista, è diventato patrimonio condiviso della cultura filosofica italiana”.
Bruno Maiorca
In: “Bacherontius”, n. 9-10 nov. 2007, pp. 5-6