filosofo del '900
a cura di A. Donise, presentazione di G. Cantillo, Edizioni Marte, Salerno, 2008, pp. 182, in “Rivista di filosofia”, Vol.C, n. 2, agosto 2009, pp. 293-295 - 2008
Le sorgenti irrazionali del pensiero
di Nicola Abbagnano
Si tratta della riedizione del primo volume di Abbagnano, pubblicato nel 1923 presso la Società editrice Perrella, nella “Biblioteca di filosofia” diretta da Antonio Aliotta: un volume da tempo ignoto salvo che a pochi studiosi specialisti di filosofia italiana contemporanea, che non era stato incluso - per ovvi motivi cronologici - nelle due raccolte degli Scritti esistenzialisti e degli Scritti neoilluministici di Abbagnano curati da Bruno Maiorca, rispettivamente nel 1988 e nel 2001, nei “Classici della filosofia” della UTET.
Come ricorda Anna Donise nella sua essenziale introduzione, Abbagnano si era laureato nel 1922 sotto la guida di Antonio Aliotta; e questo volume rappresenta appunto la sua tesi di laurea. Esso offre un'esposizione e una critica delle diverse soluzioni del problema della verità formulate nel corso della storia della filosofia e nel pensiero contemporaneo. Ne deriva un ampio quadro delle diverse teorie della verità, che prendendo le mosse dalla teoria della verità come corrispondenza percorre trasversalmente l'intera storia della filosofia, a partire da Platone e da Aristotele. Più che la rassegna delle soluzioni, che per il passato risulta alquanto, scolastica colpisce, in questo quadro, l'attenzione che, il giovane Abbagnano rivolgeva agli indirizzi più recenti del pensiero contemporaneo, da metà Ottocento ai primi due decenni del Novecento. In un periodo in cui la filosofia italiana tendeva a ripiegarsi su se stessa, egli guardava piuttosto al neocriticismo della scuola del Baden, all'idealismo anglo-americano (cui dedicherà pochi anni dopo, nel '27,uno studio organico), al pragmatismo americano, a Bergson,al “nuovo realismo” e al “realismo critico” e via dicendo. Due soltanto sono, in questo quadro,gli autori italiani presi in considerazione: il Gentile della Teoria generale dello spirito come atto puro e Aliotta, e di quest'ultimo non già La reazione idealistica contro la scienza, ma piuttosto Relativismo e idealismo, pubblicato l'anno precedente, nel 1922. Ma anche questo duplice riferimento presenta un marcato carattere critico. Nei confronti di Gentile Abbagnano sottolineava l'impossibilità di definire l'atto puro del pensiero se non oggettivandolo, e quindi riducendolo a un fatto, a qualcosa non di “pensante” ma di “pensato”, nonché l'identificazione del pensiero con la filosofia e la distinzione/contrapposizione di questa nei confronti della scienza; mentre ad Aliotta obiettava che l'impossibilità di trovare un”accordo” tra le diverse prospettive filosofiche e di stabilire tra di esse, una volta riconosciuta la loro relatività, un rapporto gerarchico.
L'esposizione delle diverse teorie della verità è infatti in funzione della tesi secondo la quale il pensiero - qualsiasi forma di pensiero, la filosofia non meno della scienza - scaturisce da una radice irrazionale, vale a dire dalla vita. Questa tesi è ribadita con insistenza: ogni verità scaturisce “dal grembo oscuro della vita” (p.73); e quindi “tra il mondo della verità [:..] e il mondo irrazionale dello spirito[...] v'è eterogeneità radicale; e quindi il modo della loro unione sfugge a ogni logica, è irriducibilmente irrazionale” (p.96). O ancora, alla base del pensiero ”non v'è che l'arbitrio irrazionale e cieco delle forze della vita” (p.140). In altri termini, il pensiero nelle sue diverse manifestazioni non è che l'espressione in forma di simboli della vita nel suo fluire; “e tutte le innumerevoli visioni o verità, in cui la vita ad ogni attimo esprime se stessa, son tutte egualmente reali, tutte egualmente legittime, tutte egualmente verità: non è possibile fra di esse distinzione alcuna di valore, anzi v'è sempre, pur tra le più vicine,un abisso che rende vano ogni confronto” (p.174). Ai filosofi passati in rassegna Abbagnano rinfacciava di aver “troppo a lungo trascurato le ragioni. della vita” (p.166), attribuendo al pensiero un'autonomia che non gli spetta, in quanto esso “segue ed esprime la necessità immanente della vita” (p.178). Non è difficile scorgere in questa impostazione i termini di riferimento positivi ai quali si rifaceva il giovane Abbagnano: in primo luogo Bergson, seppur anch'egli oggetto di critica, ma anche Dilthey interpretato in chiave vitalistica (dal quale egli trae la tesi che la nostra credenza nell'esistenza del mondo esterno trae origine dall'esperienza della “resistenza” che incontra la nostra azione). Manca invece, tra gli autori menzionati nel volume - lo rileva anche la curatrice - il nome di Georg Simmel, che pochi anni prima si era soffermato, nei “quattro capitoli metafisici” di Lebensanschauung, sulla dialettica tra la vita e le forme da essa create. In questo volume si può forse rintracciare la radice remota della svolta esistenzialistica che Abbagnano compirà verso la fine degli anni '30 e che troverà la. sua espressione in
La struttura dell'esistenza, il testo classico dell'esistenzialismo italiano. Del resto il nesso tra filosofia della vita e filosofia dell'esistenza è ben noto: lo aveva sottolineato fin dal 1929 uno studioso tedesco, Fritz Heinemann, in Neue Wege der Philosophie. Geist Leben, Existenz, con riferimento all'ambiente tedesco. II volume giovanile di Abbagnano induce a ritenere che possa venir esteso anche al pensiero italiano.
Pietro Rossi
In: “Rivista di filosofia”, vol. C, n. 2, agosto 2009