filosofo del '900
in "Il Giornale", 1 Marzo 2009 - 2009
NICOLA ABBAGNANO
Quando il pensiero ha ragione anche se non è per niente razionale
Che cosa pensa il pensiero? Da dove viene quello che pensiamo e quale attinenza ha con ciò che è fuori di noi? E poi. Che cos’è la realtà? Quest’oggettività scevra di opinione e densa di verità che continuamente cerchiamo senza mai afferrarla davvero…Sono tutte domande su cui la filosofia si arrovella sin dalle sue origini più remote e sulle quali non ci sarà mai una risposta certa. Così che l’unica vera episteme è la ricerca dell’episteme.
Nel campo del pensare il pensiero e la conoscenza, val la pena di segnalare la ristampa di un libro breve, ma densissimo, di Nicola Abbagnano: Le sorgenti irrazionali del pensiero ( Edizioni Marte, pagg. 182, euro 20). La prima pubblicazione risale al 1923, quando Abbagnano era un giovane filosofo che aveva appena terminato il ciclo di studi partenopei alla scuola di Antonio Aliotta. Il saggio si rivelò subito un saggio stupefacente. Il filosofo ventiduenne era riuscito ad offrire un quadro completo delle teorie vecchie e nuove intorno al problema della verità. Partendo da Platone e arrivando all’idealismo di Giovanni Gentile e allo spiritualismo di Henri Bergson. Ma, al di là della completezza della ricostruzione storica, in Abbagnano si delinea già una teoria e una visione personale che si spinge verso il futuro pur affondando profondamente le radici nello studio della tradizione. L’idea guida del filosofo salentino è che, nonostante gli sforzi millenari, non possiamo “servirci del pensiero per saltar fuori da esso”. Nemmeno, d’altra parte, si può reprimere l’idea che un fuori esista e chiedersi come “sia potuta sorgere l’idea di un mondo indipendente… la credenza di una realtà a noi estranea”.
La risposta trovata da Abbagnano è che alla base di questa credenza ci sia l’esperienza continua che facciamo di una “resistenza” che il nostro agire, le nostre volizioni, incontrano quotidianamente. Per dirla come il filosofo: “L’antitesi dell’io e del mondo è frutto di un’esperienza fondamentalmente alogica, è la trascrizione simbolica e ideale del senso della resistenza e delle sforzo connesso indissolubilmente all’azione”. E, proprio a partire da questa alogicità, il fine del pensiero diventa esprimere in simboli, inevitabilmente mutevoli, i diversi momenti della vita, costellati e intrisi di questo sforzo. Diviene così impossibile creare una “rocca di diamante del pensiero” chiusa in se stessa, esattamente come è vuoto di senso ogni tentativo di attingere a una realtà che trascenda la coscienza.
Insomma, una teorizzazione forte della relatività del pensiero e delle sue radici esterne alla sfera del logico e del razionale. Tra la logica e la “vita” Abbagnano sceglie la vita. In un modo che non è ancora quello della sua conversione esistenzialista, ma che in una qualche maniera la anticipa.
Va da sé che il libro fa bella figura nella biblioteca di qualunque specialista di filosofia. Va detto però che nel suo essere anche una summa del pensiero in materia, nonostante l’innegabile peso degli anni, resta anche un libro dotato di una forte capacità divulgativa. Quella tipica di Abbagnano.
Matteo Sacchi
In: Il Giornale”,1 marzo 2009, p. 22