STAGLIENO M.

Abbagnano, il coraggio delle idee

in "Il Nuovo" (quotidiano on line), 14 Luglio 2001 - 2001

Abbagnano, il coraggio delle idee

 
Abbagnano, il coraggio delle idee
Cento anni fa nasceva il grande pensatore italiano, teorico dell'esistenzialismo. Filosofo liberale, è stato uno dei grandi del nostro pensiero. Lo ricordano un mega convegno e la ristampa delle sue opere.
 

Nessuno sembra quasi ricordarsene più, in questi anni di "pensiero debole". Ma cinquant'anni fa dilagò in tutt'Europa l'esistenzialismo, affascinando i giovani e imponendosi anche come moda, con la forza di un mito. Le ragazze portavano la coda di cavallo e il montgomery, i ragazzi impazzivano per le canzoni di Prévert interpretate dalla fascinosa Juliette Gréco, in maglione nero e lunga gonna a spacco, nelle caves parigine di Saint-Germain-Des-Pré. E scimmiottavano Jean-Paul-Sartre, con pipa e occhiali, ostentandone la rarissima prima edizione (Gallimard 1943) del saggio Etre et le Néant al pari di quanti, all'Università di Torino, nell'affollare le lezioni di Nicola Abbagnano esibivano la sua Introduzione all'esistenzialismo (Bompiani 1942) ed Esistenzialismo positivo (Taylor 1948). Questi due saggi - assieme agli altri Scritti esistenzialisti: da La struttura dell'esistenza (Paravia 1939) a Morte o trasfigurazione dell'esistenzialismo (Taylor 1955) - per il centenario della nascita di Abbagnano verranno ristampati, a cura di Bruno Maiorca, nella collana Classici della Filosofia della Utet. Sempre per questa ricorrenza (15 luglio 1901), l'Università di Torino, dove egli insegnò per un quarantennio, dal 1936 al '76, assieme all'Accademia delle Scienze ha organizzato un convegno (4-5 ottobre nella Sala dei Mappamondi della stessa Accademia e il 6 ottobre nell'Aula Magna dell'Ateneo torinese) sulla filosofia di lui. Vi parteciperanno, tra i tanti, Norberto Bobbio, Fernanda Pivano, Franco Ferrarotti, Aldo Visalberghi, Franco Tatò, Umberto Eco, Bruno Miglio, Nino Langiulli, Valerio Zanone, Indro Montanelli, Pietro Rossi, Carlo Augusto Viano, Paolo Rossi, Massimo L. Salvadori, Gianni Vattimo, Salvatore Veca.
Una vita intensamente operosa - Verrano discussi i temi del suo pensiero, sino agli Scritti neo-illuministi (in corso di stampa presso la Utet sempre a cura di Bruno Maiorca, prevalentemente costituiti dagli interventi di Abbagnano sul Giornale dal 1974 alla morte, 9 settembre 1990) e sino all'ultimo libro, Ricordi di un filosofo, che uscì a mia cura nel 19900 presso Rizzoli, dove egli rievocava la Napoli della sua giovinezza e la Torino dove arrivò nel 1936m ripercorrendo i momenti decisivi di un'esistenza intensamente operosa, contrassegnata anche da tragici eventi personali.
Pensatore militante. Pensatore davvero "militante" - Sono convinto che, anche in questo convegno, Nicola Abbagnano verrà ricordato tra i pochi pensatori che - in modo non elusivo e davvero "militante" - hanno lasciato traccia non effimera nella cultura, e nella vita, italiana del Novecento, al pari di pochi altri: Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Ugo Spirito, Ludovico Geymonat e Antonio Banfi. Tra essi egli occupa un posto di grande rilievo, per coerenza nello sviluppo del proprio pensiero e serietà di intenti, senza mai indulgere a tentazioni totalizzanti. Respinse infatti sia quelle dell'idealismo sia quelle di un marxismo al quale molti dei suoi confrères in filosofia, per cantare di cose minori, nonostante tutto continuano oggi a restare aggiogati.
Partecipe attenzione alla vita quotidiana - Natura severa, con uno spirito di seguito più forse portato all'esegesi filosofica che non (come per esempio in Enzo Paci e Remo Cantoni) a una "creatività" letterario-speculativa, fu nondimeno un pensatore originale in cui alla vastissima cultura s'accompagnava una partecipe attenzione alla vita quotidiana, che anche spiega la sua attività d'alta divulgazione giornalistica. Accusato talvolta, nel secondo dopoguerra, d'essere stato troppo vicino a Giovanni Gentile, non nascose i debiti contratti con l'attualismo: dal quale aveva peraltro espunto già nel 1943 - lo rilevò uno studioso attento come Eugenio Garin nelle sue Cronache di filosofia italiana (Laterza 1975) - "tutte le presunzioni edificanti, di assoluti possessi, e di certezze definitive.
Il rapporto odio amore con Croce. Don Benedetto, il vero antagonista - Per Abbagnano - nativo di Salerno - il vero antagonista fu Croce. Nei confronti di Gentile ("forse più oscuro maestro, ma quanto più vivo") si sentiva in parte affine proprio perché vedeva in lui l'hegeliano Spirito Assoluto farsi "creatore di comunità", mentre per Croce "era sostanzialmente Spirito estetico, creatore di bellezza", e fu altresì ostile al Croce esaltatore di Sorel. Quest'opposizione, verso la quale il filosofo di Pescasseroli ostentò sempre sovrana indifferenza, Abbagnano la manifestò, nettissima, nel 1939 con il primo dei saggi che verrà ricordato nel convegno torinese, La struttura dell'esistenza, uno dei capi d'opera dell'esistenzialismo europeo.
Per la pluralità degli individui - Interprete critico di Heidegger e di Jaspers, e soprattutto di Kierkegaard, con metodo analitico e chiarificatore Abbagnano, per la prima volta in Italia, fu il pensatore che seppe opporsi alla dittatura crociana e alle totalizzanti generalizzazioni dell'idealismo. Con intenti schiettamente liberali, in cultura ma anche in politica, all'unicità dello Spirito egli opponeva la pluralità degli individui, e alla "ratio" assoluta la Volontà di Schopenhauer, intesa come soggetto " moralmente attivo in ogni aut- aut, in ogni scelta".
Il consenso di Norberto Bobbio - " Tra le opere di rottura" - rivelò in proposito anni dopo ( 1965) Norberto Bobbio - "fu certamente la più sconvolgente. Non assomigliava a nessuna delle opere filosofiche che si andavano scrivendo (…) anche nella forma, che era scabra, lineare, senza gli impeti oratori e le solite virtuosità dialettiche. Non era un libro facile ma proprio perché era scritto con rigore, guidato e sorretto da una rara disciplina mentale, si lasciava capire. Cionostante fu una sorpresa, forse la più grossa sorpresa di quegli anni (…). Per quanto si fosse cominciato a parlare da qualche anno di esistenzialismo, nessuno era preparato a trovarsi di fronte a un filosofo esistenzialista italiano, tanto meno ad una versione italiana, già compiuta e perfetta, dell'esistenzialismo…".
Le polemiche. La polemica su "Primato" - Con una valenza in più: l'attenzione coraggiosa alla politica. Ho sotto gli occhi il numero 6 ( 15 maggio 1943) di "Primato", l'eterodossa rivista di Giuseppe Bottai e Giorgio Cabella, dove Abbagnano concludeva una inchiesta sull'esistenzialismo cui avevano partecipato Enzo Paci, Gennaro Perrotta, Augusto Guzzo, Camillo Pellizzi, Galvano Della Volpe, Cesare Luporini e Antonio Banfi. In contraddittorio polemico soprattutto con Gentile, Abbagnano così scriveva: "L'esistenzialismo richiama l'uomo all'impegno verso la propria natura 'finita'. Lucidamente riconosciuta e accettata. Il filosofare che esso tende a fondare è l'autentico 'esistere'. L'esistere che è giunto alla chiarezza e alla sincerità con sé stesso (…) occorre 'impegnarsi' ". Nell'imminenza del crollo del fascismo, non è da escludere in Bottai un calcolo, quello di sopravvivere al regime grazie anche agli intellettuali, frondeurs o addirittura comunisti, che da anni andava proteggendo. Ma è da escludere ogni calcolo in Abbagnano, nettamente anti-idealista da quando, nel novembre 1922, relatore Antonio Aliotta, s'era laureato a Napoli con una tesi pubblicata l'anno dopo, Le sorgenti irrazionali del pensiero. Lontano da ogni pessimismo nichilista - Docente dal 1936 di Storia della Filosofia all'Università di Torino, dov'era approdato vincendo un concorso nonostante l'opposizione dei crociani, Abbagnano approfondì questi temi nelle opere successive, in modi del tutto originali. Si tenne infatti lontano dal pessimismo in cui nel Novecento rimasero invece coinvolti (fatta eccezione per Gabriel Marcel) gli altri esistenzialisti: Heidegger concepiva la vita come "fondamento nullo di ogni nullità"; Jaspers prendeva atto della nostra impossibilità di raggiungere l'Essere, all'insegna dello scacco e del naufragio; Sartre giudicava l'esistenza "priva di una vera scelta", per il limite che quella fatta ci pone di fronte alla totalità infinita delle scelte. Evitando tali forme "negative", Abbagnano sosteneva che era possibile sottrarsi al nichilismo e al relativismo. Pur nell'ambito del dubbio, per lui la vita si chiarisce infatti agli individui in forma intrinsecamente normativa, come "dover essere", consentendo a ognuno di conservare la propria dignità, la funzione creativa, la libertà.
Uno spirito autenticamente liberale - Nel dopoguerra seppe opporsi, Abbagnano, a un'altra dittatura: quella (di matrice crociana) esercitata dal marxismo neo-gramsciano nell'Italia del secondo dopoguerra. Per la pubblicazione presso la Utet di due opere monumentali a tutt'oggi ristampate, la Storia della filosofia (1946-1950) e il Dizionario di filosofia (1961), ottenne sì riconoscimenti prestigiosi quali l'ammissione all'Accademia dei Lincei e all'Accademia delle Scienze di Torino. Ma - spirito autenticamente liberale, tanto da prestarsi alla politica quale assessore del Pli al comune di Milano nel 1985 - si tentò proprio per questo di tenerlo in disparte. Dopo una lunga collaborazione a La Stampa di Torino, nel 1974 volle fare parte dell'esigua (e non certo amata) pattuglia del Giornale, dove scrisse sino all'ultimo. Solo nel 1981 Pertini gli consegnò, accanto a Praz e Prezzolini, la Penna d'Oro: troppo poco, e ancora oggi mi chiedo perché mai Cossiga non lo avesse nominato senatore a vita. Già in quegli anni, la violenza delle masse si stava soprapponendo agli individui, alla lezione dell'esistenzialismo.
                                                                                                                                                                                                                                 Marcello Staglieno
In: "Il nuovo", (quotidiano on line), Milano, 15 luglio 2001