STRANIERO G.

L'esistenzialismo di Abbagnano. A cento anni dalla nascita, un ricordo del filosofo torinese

in "La Voce del Popolo", 15 Luglio 2001 - 2001

L'esistenzialismo di Abbagnano

L'analisi critica della struttura dell'esistenza come possibilità di rapporto con l'Essere. E' stata questa la linea di pensiero di Nicola Abbagnano, di cui ricorre il centenario della nascita il 15 luglio, sviluppata coerentemente nel corso della sua lunga vita. Docente di Storia della Filosofia nell'Università di Torino, negli anni Cinquanta e Sessanta, ha rappresentato l'alternativa "laica" al predominio di area cattolica da parte dei suoi colleghi, personaggi di alto livello come Augusto Guzzo, Carlo Mazzantini, Luigi Pareyson.
Certo, era un "laico" Abbagnano, ma non nel senso che è stato sviluppato dai suoi allievi ed assistenti accademici. Abbagnano si dichiarava sostenitore di una forma di esistenzialismo fedele alla formulazione data dal danese Soeren Kierkegaard, padre riconosciuto dell'esistenzialismo novecentesco. E per tale ragione, Abbagnano aggiungeva al suo esistenzialismo il termine "positivo", per differenziarlo da quello da lui definito "negativo", formulato dai grandi interpreti Heidegger, Jaspers e Sartre. Il concetto base dell'esistenzialismo kierkegaardiano è quello della "possibilità" come scelta ineludibile e non suscettibile di soluzione razionale. Di fronte ad una simile alternativa, Kierkegaard affermava che l'Io non può che essere colto dall'angoscia, intesa come vertigine della libertà, derivante dal fatto che la decisione presa, anche dopo essere stata messa in atto, rimane una possibilità che non esclude la validità possibile delle altre. Di fronte a un problema di ordine logico, se si riesce a trovare la soluzione razionale, alla fine si è soddisfatti. Di fronte a un "problema" invece di ordine esistenziale, la scelta di un'alternativa, mediante una decisione della volontà, lascia intatto a livello teoretico il dubbio che non si tratti della scelta giusta. Di qui l'angoscia. Abbagnano, nella sua monumentale Storia della Filosofia, mette in relazione la posizione di Kierkegaard con quella di Hegel, sostenitore dello svolgimento necessario della storia come manifestazione dello Spirito infinito, secondo una prospettiva panteistica. Di fronte alla negazione della libertà del singolo individuo, espressa da tale concezione, Abbagnano sottolinea come Kierkegard abbia inteso affermare la dignità del carattere strutturalmente problematico dell'esistenza individuale. Così pure, Abbagnano mette in evidenza la differenza tra la concezione di Kierkegaard e quella di Carlo Marx, a sua volta, come Hegel, ma in senso materialistico, convinto della necessità del processo storico che si sviluppa secondo una razionalità dialettica di lotta di classe.
L'uomo si trova dunque secondo Kierkegaard di fronte a delle alternative che impegnano la sua libertà senza una risposta razionale. Non tutti gli uomini però avvertono tale condizione. C'è chi si limita ad una forma di esistenza a carattere strettamente "estetico", che secondo l'etimologia del termine si lascia condurre dalle "sensazioni". A tale condizione, come afferma nell'opera "Aut-Aut" subentra uno stato di noia, di insoddisfazione, che può risvegliare la coscienza del soggetto, il quale si pone la questione di senso rispetto al suo agire. Dallo stadio estetico si passa così a quello "etico", che corrisponde alla vita condotta secondo le regole della società. Ma anche questo stadio può essere messo in crisi dall'ulteriore presa di coscienza della propria responsabilità. A chi si deve rendere veramente conto del proprio agire? Chi può realmente decidere circa ciò che è bene e ciò che è male? E' sufficiente la volontà di un essere umano, o si deve riconoscere che il bene e il male sono tali realmente solo di fronte all'assoluto, quindi a Dio? Si apre quindi la possibilità della scelta religiosa, che Kierkegaard, nell'opera "Timore e tremore" esemplifica con quella paradossale di Abramo.
Abbagnano segue Kierkegaard fino al punto della possibilità della fede. La scelta a favore dell'uomo o a favore di Dio, come fondamento dell'ordine morale, non è però, secondo la linea del pensiero kierkegaardiano, riconducibile ad una risposta razionale. Si può con "timore e tremore" accettare Dio, e in particolare il Dio cristiano, come decide Kierkegaard, o rifiutarlo, ma sempre con "angoscia", in quanto la ragione non esclude l'altra possibilità. Nell'opera " La struttura dell'esistenza", Abbagnano parla a questo proposito di "possibilità trascendentale", nel senso che il compito della filosofia è quello di fornire criticamente il fondamento della possibilità in quanto possibilità, cioè di dimostrare la " possibilità della possibilità", che non si traduce mai in necessità, neppure a posteriori, col senno di poi. Tale condizione è estesa alla storia, al suo carattere di contingenza, cioè di espressione della libertà umana. Abbagnano polemizza vivacemente, come si è detto, con i grandi interpreti dell'esistenzialismo, che non sono rimasti fedeli all'impostazione kierkegaardiana. Heidegger ha affermato l'inevitabile annullarsi di ogni possibilità, per cui la vita "autentica" è quella che anticipa tale esito nichilistico mediante l' "essere per la morte". Jaspers ha a sua volta espresso l'impossibilità di raggiungere l'Essere trascendente, con l'inevitabile "scacco" per l'esistenza. Sartre, da parte sua, sostiene che l'uomo è nella situazione di doversi sostituire a Dio nel decidere su ciò che è bene e su ciò che è male, "se sia meglio condurre i popoli o ubriacarsi in solitudine". Abbagnano definisce quindi "positivo" il suo esistenzialismo. Pur nel dubbio teoretico, in sede pratica, l'uomo "deve" scegliere quali contenuti dare alla sua azione. E negli ultimi anni, come un antico saggio stoico, in conversazioni tenute con il pubblico attraverso i giornali, era solito raccomandare di agire secondo una linea di moderazione e di tolleranza tale da non annullare il diritto altrui alla "possibilità".
                                                                                                                                                                                                                               Giorgio Straniero
In: "La Voce del Popolo", 15 luglio 2001