VIANO C.A.

Abbagnano, laici con filosofia - Le risposte del neoilluminismo all'Italia del dopoguerra

"La Stampa", 14 Ottobre 2004 - 2004

Abbagnano, laici con filosofia


Abbagnano, laici con filosofia
Le risposte del neoilluminismo all'Italia del dopoguerra

 


A Torino, dopo la seconda guerra mondiale, dei f:ilosofi veri e propri immaginarono di poter risuscitare l'illuminismo, tanto che chiamarono se stessi "neoilluministi". Quello di loro che aveva un qualche legame con le radici gobettiane era Norberto Bobbio, che era stato scolaro di Solari, aveva frequentato gli ambienti cittadini nei quali il ricordo dell'esperienza gobettiana era ancora vivo e aveva praticato l'antifascismo azionista. L'altro esponente di spicco del neoilluminismo, anzi quello che aveva proposto la formula, era Nicola Abbagnano, che riscopriva l'illuminismo dopo aver tentato molte strade, nessuna delle quali sembrava dovesse portare qui. Da ultimo aveva dato vita a una varietà italiana di esistenzialismo, meno drammatico delle filosofie dell'esistenza tedesche, "positivo", come lui stesso lo chiamava, che aveva perfino preteso di essere una specie di filosofia nazionale e fascista, capace di sostituire la dottrina gentiliana. All'illuminismo Abbagnano si rivolse dopo la fine della guerra, quando spostò la propria attenzione dalla cultura tedesca, cui si era ispirato per l'impresa esistenzialistica, a quella americana, che stava diventando l'alternativa ideologica alla f:ilosofia marxista e all'ideologia comunista. Abbagnano associava il ricupero dell'illuminismo alla filosofia di John Dewey, che considerava compatibile con l'esistenzialismo positivo. Erano cose che non stavano insieme, perché Dewey era un filosofo hegeliano, che aveva sempre respinto l'empirismo settecentesco e tutto ciò che sembrava derivare dalle teorie della conoscenza care agli illuministi. Del resto i pragmatisti in generale diffidavano degli illuministi, nei quali vedevano gli eredi del cartesianesimo o che consideravano insensibili ai temi religiosi e all'esperienza interiore. Lo stesso Bobbio era stato educato alla filosofia di Kant, di Fichte e di Hegel, ma anche al culto di Croce, e aveva praticato Martinetti e fatto esperienza di fenomenologia: tutti antidoti antilluministici. E, mentre Abbagnano costruiva l'esistenzialismo, Bobbio lo aveva demolito con qualche simpatia per un personalismo spiritualistico.
Era stato Abbagnano il vero animatore del programma neoilluministico. Bobbio diceva di essersi fatto convincere quando Abbagnano aveva messo sotto il segno dell'illuminismo un'interpretazione della conoscenza scientifica diversa da quella del positivismo ottocentesco, per il quale la scienza rivela l'ordine necessario della realtà. Nel loro piccolo i fondatori del neoilluminismo torinese avevano già celebrato, ciascuno per proprio conto, i dovuti scongiuri antipositivistici, ma ora era comparso il neopositivismo, e il richiamo all'illuminismo poteva servire per esorcizzare anche quest'ultimo fantasma. All'impresa guardava anche Ludovico Geymonat, un vecchio amico di Bobbio, diviso tra interesse per il neopositivismo e ideologia comunista. Quest'ultima lo rendeva diffidente verso una cosa che il marxismo ufficiale considerava una faccenda borghese, ma guardava con simpatia l'anticrocianesimo, antico in Abbagnano e più recente in Bobbio. Frattanto all'orizzonte compariva la filosofia analitica, che al momento della nascita del neoilluminismo non si sapeva tanto bene che cosa fosse, ma che nasceva dal rifiuto del primato del linguaggio scientifico. Dunque un altro alleato, ma anche un'altra associazione arrischiata dell'eredità dell'illuminismo con cose che non c'entravano.
Ricostruendo la propria adesione al neoilluminismo, Bobbio ne ha recentemente individuato le radici nel rifiuto della "filosofia romantica, idealistica, di Croce e Gentile" e delle "filosofie di ispirazione religiosa come il neotomismo dell'Università cattolica del Sacro Cuore... filosofie regressive anche perché avevano in qualche modo accompagnato il fascismo, o lo avevano giustificato e sostenuto". I neoilluministi inserivano la polemica antidealistica nella polemica contro le filosofie ottocentesche della necessità e contro le filosofie della storia romantiche, nelle quali la libertà dello spirito universale prevale sulla libertà dei singoli. In un saggio importante Bobbio segnò il proprio distacco dal crocianesimo, delineando un'interpretazione della democrazia liberale fondata sui principi dell'89, ai quali Croce aveva sempre guardato con irriguardosa diffidenza.
Il neoilluminismo intendeva opporsi anche all'ideologia comunista. L'anticomunismo di Abbagnano era più radicale, anche se meno esplicito, mentre quello di Bobbio era più tormentato, perché il richiamo all'impegno politico degli intellettuali, così forte per i comunisti, non lo lasciava indifferente. Su questo terreno il riferimento all' illuminismo poteva diventare particolarmente interessante, perché gli illuministi costituivano il caso tipico di intellettuali impegnati in progetti politici e tuttavia non vincolati a qualcosa come i partiti di massa, che ovviamente non conoscevano; ma essi avevano saputo resistere alle pretese di obbedienza che despoti e chiese avevano fatto valere. Ma il tema più sentito più diffuso tra i neoilluministi era la resistenza al controllo dei cattolici sulla cultura e sulla vita civile dell'Italia del dopoguerra e la critica di ogni filosofia che presupponesse il primato della religione sulle altre attività intellettuali. E si trattava non soltanto della filosofia neoscolastica, come poi Bobbio avrebbe detto, ma anche, e forse soprattutto, dello spiritualismo cattolico, in parte erede dell'idealismo gentiliano, ampiamente presente nelle università statali e non confinato nell'Università cattolica milanese. Più che contro la filosofia neotomista il neoilluminismo cercava di mettere le premesse per una cultura laica, cioè indipendente dalle pressioni esercitate da autorità e intellettuali cattolici. Ciò che univa la difesa della laicità alla discussione dell'impegno politico era il rifiuto della sottomissione degli intellettuali a qualsiasi autorità che pretendesse di esercitare un qualche potere sulla cultura: i potenti non dovevano pretendere di svolgere una politica culturale, mentre gli intellettuali dovevano intervenire nella politica, in primo luogo per salvaguardare la libertà e l'indipendenza della cultura.
                                                                                                                                                                                                                        Carlo Augusto Viano
In: "La Stampa", 14 Ottobre 2004