PAPUZZI A.

Un filosofo contro Paolo VI

in "La Stampa", 30 Aprile 2008 - 2008

Un filosofo contro Paolo VI

 

Un filosofo contro Paolo VI
 
 
Quando la stagione di De Benedetti si sta avviando alla conclusione, nell’estate del 1968, quattro mesi prima di dire addio al giornale, l’anziano direttore ( che ormai si avvicina agli ottant’anni, un’età proibita per il suo mestiere) impegna il giornale in una campagna laicista in difesa degli anticoncezionali, e contro l’enciclica Humanae vitae di papa Paolo VI che li mette al bando. E’ l’ultima zampata del vecchio leone, una vera campagna in cui gioca tutte le carte a sua disposizione: la penna tagliente di Gorresio, l’opinione di un grande filosofo, le corrispondenze dall’estero che danno conto dell’arretratezza italiana, soprattutto le lettere di Specchio dei tempi, come voce di una protesta anonima ma sgorgata dalle vite di donne e uomini e come immagini di un pezzo di mondo cattolico che non può credere alla condanna.
La questione riguardava la liceità, per i credenti, della cosiddetta pillola, in commercio dalla metà degli anni Sessanta, e apriva una discussione sul controllo delle nascite e la pianificazione familiare. La materia era regolata dal principio che la sessualità nel matrimonio era ammessa per il fine della procreazione, l’unica deroga consentita era il metodo chiamato Ogino-Knaus, che si basava sull’astensione dei rapporti nel periodo di fecondità della donna, per cui implicava calcoli, né semplici, né sicuri, sulle cadenze del ciclo mestruale. Questo metodo era considerato secondo natura, perché sfruttava un dato naturale della fisiologia femminile, mentre erano condannati i contraccettivi che Pio XII nel 1958 aveva definito “una sterilizzazione diretta”.
“Un documento che mal si concilia con la realtà del mondo d’oggi” è il titolo del commento di Gorresio, sulla prima pagina della Stampa, all’indomani della presentazione dell’Humanae vitae. Appare sotto il servizio del vaticanista Lamberto Furno, che è presentato con un titolo a cinque colonne di un’incisiva asprezza: “ La pillola non è lecita. Dura enciclica del Papa”. Nell’articolo si ricorda come Paolo VI avesse vietato al Concilio di pronunciarsi sulla liceità o meno di metodi contraccettivi per la regolazione delle nascite, riservando la questione al proprio giudizio. Si ricorda anche un numero crescente di diocesi straniere si erano pronunciate in maniera diversa, in Francia e in Olanda, in Germania e in America, riconoscendo che il ricorso a sistemi di controllo e di limitazione delle nascite era sempre più giudicato un problema di coscienza esclusivo dei coniugi.”Dal Papa si aspettava comprensione – scrive Gorresio –, ed è venuta una condanna.
Dobbiamo immaginare che De Benedetti si fosse convinto ad avversare l’enciclica di Paolo VI per due ragioni. In primo luogo, contrastava una diffusa convinzione collettiva, rientrava in concezioni che appartenevano al passato; il direttore capiva che il suo pubblico, anche la parte di cattolici praticanti, era deluso della risoluzione cui era giunto alla fine il Papa, e la delusione serpeggiava sia tra i ceti borghesi sia fra quelli più popolari, più per ragioni di principio fra i primi, più per ragioni pratiche fra gli altri. In secondo luogo, l’enciclica era un caso in cui misurare il fondamento morale del giornalismo: il suo dettato offuscava la libertà di coscienza delle persone e limitava il diritto di scelta delle donne. Ci fu anche chi denunciò un cinismo del direttore. Tuttavia gidibì sapeva guardare al futuro. Certo, è possibile che il direttore si fosse consigliato con i collaboratori, ma non c’è dubbio che si trattò di una sua scelta di campo, tanto è vero che si avvalse per quella campagna laicista dello spazio del giornale di cui era più geloso: Specchio dei tempi. Nella rubrica delle lettere compaiono una serie di messaggi di protesta.
Ma il pezzo forte è l’intervento del filosofo Nicola Abbagnano, maître-à-penser in Italia dell’esistenzialismo, che il 7 agosto, dopo tre giorni di sciopero dei quotidiani, firma un ampio elzeviro in terza pagina: “Controllo delle nascite e la legge della natura”. E’ un testo impegnativo, di non facile lettura, che mette e disposizione della campagna giornalistica una riflessione storica e un’analisi critica sui principi filosofici cui l’enciclica appare ispirata. Abbagnano indica come elemento fondamentale di tutto l’impianto di Paolo VI l’affermazione che legge naturale e legge divina coincidono. Ai suoi occhi, tale identificazione “è propria di una cosmologia primitiva antiquata e oggi insostenibile”; è parte integrante delle concezioni contro le quali si è battuta la scienza moderna, a cominciare da Galileo.
D’altronde, Abbagnano argomenta che ciò che si chiama natura non corrisponde mai a una totalità assoluta, ma opera attraverso “tentativi innumerevoli e sprechi enormi”. L’uomo infatti sarebbe scomparso da molti millenni se non avesse fatto in tutti i campi proprio ciò che l’enciclica condanna nel campo matrimoniale. “Prevedere, pianificare, progettare, prepararsi in anticipo i mezzi per combattere i mali della natura, il freddo, le intemperie, la fame, la malattia e le incessanti minacce che la natura gli fa pendere ad ogni istante sul capo”. Il filosofo smonta le basi teoriche dell’Humanae vitae, ne mette a nudo il carattere strumentale. Se il Papa aveva voluto derivare il divieto ai contraccettivi e al controllo delle nascite non da un precetto dottrinale, né da una linea pastorale, bensì da una conformità della vita sessuale a un ordine naturale della trasmissione della vita, contro questa pretesa il filosofo propone i capisaldi di un manifesto del laicismo.
                                                                                                                                                                                                Alberto Papuzzi – Annalisa Magone
In:  La Stampa, 30 aprile 2008
 
Articolo riprodotto per gentile concessione dell’Editrice
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Alberto Papuzzi – Annalisa Magone
Gidibì. Un maestro di giornalismo
Donzelli Editore, 2008